Più di mille miliardi di franchi. A tanto ammontano i capitali pensionistici dei lavoratori in Svizzera gestiti dai fondi privati del secondo pilastro. Quanti dei nostri soldi delle pensioni finiscono nel commercio di armi? Dati precisi non esistono, essendo il mercato ben poco trasparente. L'iniziativa popolare 'Per il divieto di finanziare i produttori di materiale bellico' in votazione il 29 novembre, lanciata dal Gruppo per una Svizzera senza esercito e dai giovani Verdi, si prefigge di rendere illegale qualsiasi forma di sostegno finanziario, compresa l'offerta di credito o l'acquisto di azioni e obbligazioni in una società produttrice di armi. I soldi delle nostre pensioni non sarebbero dunque più utilizzati per la produzione di armi. Un mercato fiorente, dominato a livello globale dalle imprese americane. Stando all’Istituto di ricerca internazionale sulla pace di Stoccolma (SIPRI) nel periodo 2015-19, le esportazioni di armi a stelle e strisce sono cresciute del 23%. Ad oggi gli USA riforniscono 96 Paesi, praticamente uno su due, coprendo da soli oltre un terzo del mercato globale (36% dei trasferimenti) contro il 21% della Russia. A finanziare le imprese belliche americane, non ci sono solo i soldi delle nostre pensioni. La Banca Nazionale svizzera, gioca un ruolo importante nel commercio bellico. Sono circa 20 i miliardi di franchi investiti dalla Bns in aziende attive nel commercio di armi. Ad esempio, la Bns detiene una partecipazione di 369 milioni di franchi nell’impresa statunitense Raytheon, i cui missili, come ha scritto il New York Times, sono stati usati contro la popolazione civile nella guerra in corso nello Yemen. Un altro ruolo importante nel commercio di armi, lo giocano i grandi istituti bancari del Paese. Nella già citata Raytheon ad esempio, Ubs ha investito quasi un miliardo di dollari. Anche il Credit suisse conta numerose partecipazioni in imprese belliche. In definitiva, l’iniziativa in votazione il 29 novembre, vuole impedire che i soldi delle nostre pensioni, della Bns o dei conti presso gli istituti bancari elvetici siano utilizzati per finanziare il commercio di armi. «Il denaro per le armi uccide», aveva scritto al momento del lancio dell’iniziativa sui pannelli che circondavano la sede della Bns, Louise Schneider, attivista pacifista di 86 anni. Stando agli oppositori interessati economicamente, ciò limiterebbe il loro margine di azione d’investimento. Non è vero, replicano i favorevoli. Swissinfo lo ha chiesto a undici dei principali istituti di previdenza sociale. Solo quattro casse pensioni raccomandano di respingere l’iniziativa perché le possibilità di diversificazione risulterebbero limitate, con un conseguente aumento del rischio di investimento. «L'impatto dell’applicazione della legge sui costi amministrativi sarebbe minimo» ha specificato uno di essi. Tre casse pensioni hanno indicato una stima concreta dei costi aggiuntivi: l'incremento sarà dello 0,01 per cento. Uno studio del 2018 realizzato da «Swiss Sustainable Finance» in collaborazione con l’Università di Zurigo nel quale sono stati intervistati 61 attori, fra cui numerose casse pensioni, banche o gestori patrimoniali sulle loro strategie d’investimento, è emerso che già oggi molti investitori hanno un approccio sostenibile nelle loro decisioni d’investimento. Nel 37 % degli investimenti sostenibili in Svizzera viene applicata la procedura di esclusione, che riguarda principalmente la produzione e il commercio di armi, il tabacco, l’energia nucleare e le imprese che violano i diritti umani. Ciò dimostra che investire in maniera redditizia il denaro, in molti casi delle nostre pensioni, senza sporcarsi la coscienza è possibile. Oltre a dimostrare la fattibilità, obbligare invece quei soggetti a cui interessa il solo profitto, è anche una questione di concorrenza leale in un quadro legale eticamente accettabile. |