Da tempo i sistemi pensionistici dei Paesi europei sono ormai scossi da turbolenze economiche e finanziarie. Basti pensare, per esempio, a quanto accaduto recentemente in Francia ed Austria ed alle discussioni ed alle polemiche in corso sia in Germania che in Svizzera e nella stessa Italia. Ovunque sembra che il maggiore, se non l’unico, problema dell’economie locali sia quello dei sistemi pensionistici troppo onerosi che frenano lo sviluppo economico. Tesi, questa, che forse può valere per quei Paesi dove i sistemi previdenziali locali sono rimasti immutati da decenni. Tutt’altro discorso vale però per quello elvetico in cui l’Avs dalla sua nascita, nel 1948, è stata revisionata per dieci volte, l’ultima nel 1997, e che, peraltro, è stata affiancata nel 1985 dalla previdenza professionale (secondo pilastro). Tuttavia anche il sistema pensionistico svizzero è pure nella bufera da circa un anno, in particolare il secondo pilastro, per motivi di mala gestione, per le intenzioni del Ministro Couchepin, e della Destra politica ed economica, di voler ridurre le prestazioni previdenziali dell’Avs e della previdenza professionale. Proprio sabato 20 settembre, in loro difesa, vi è stata a Berna una grandiosa manifestazione di protesta popolare indetta dai sindacati (argomento ampiamente trattato da area in altri articoli). Ma anche l’Italia è nella stessa situazione elvetica e cioè non comparabile con quella degli altri Paesi europei. Infatti pure il sistema pensionistico italiano, negli anni novanta, dopo oltre vent’anni, ha subito radicali riforme che lo hanno reso più adeguato all’attualità del mondo del lavoro ed alle maggiori speranze di vita della popolazione. Alcuni esempi delle modifiche apportate nell’ultimo decennio. Oggi l’età del pensionamento di vecchiaia per limiti di età (per i lavoratori dipendenti nell’assicurazione generale obbligatoria gestita dall’Istituto nazionale della previdenza sociale italiano) è di 60 anni per le donne e 65 per gli uomini (con 20 anni di assicurazione); prima era, rispettivamente, di 55 e 60 anni (15 anni di assicurazione). Mentre per il pensionamento di anzianità di lavoro (il tipo di pensione di vecchiaia che, più di tutti, è oggetto di polemiche per i costi) i requisiti sono oggi 35 anni di lavoro e 57 anni di età, oppure 37 anni di lavoro senza vincolo di età; prima bastava il requisito dell’anzianità lavorativa di 35 anni senza alcun limite di età per cui si potevano verificare dei casi in cui il diritto a questo tipo di pensione maturava già con 49 anni di età. A parte questi esempi va poi ricordato che la riforma pensionistica italiana del 1995, la così detta Riforma Dini dal nome del presidente del consiglio italiano dell’epoca, Lamberto Dini, ha praticamente ridisegnato, ex novo, l’intero sistema pensionistico italiano, solo che lo ha fatto in modo graduale con una sua applicazione modulata nel tempo ed a secondo che in Italia i lavoratori avessero più o meno di 18 anni di contribuzione al 31.12.1995. Addirittura con un sistema pensionistico, applicabile a tutti coloro che hanno iniziato a lavorare e versare i contributi dal 1.1.1996, che ha buttato alle ortiche sia quello di anzianità che di vecchiaia per limiti di età e che in futuro sarà, invece, flessibile da 57 a 65 anni, identico per uomini e donne. Ciò nonostante l’attuale governo italiano, sia pure con forti contraddizioni al suo interno, sollecitato dalla Confindustria, intende porvi nuovamente mano poiché, a dire del suo ministro per l’economia, Giulio Tremonti, la spesa previdenziale italiana è destinata a crescere in modo esponenziale nei prossimi anni, tanto da diventare insopportabile per le casse dello Stato e quindi a rischio di bancarotta. Tesi, peraltro, contestata dalle organizzazioni sindacali poiché, come afferma Luigi Angeletti, segretario generale della Uil, è «basata su due presupposti che non avverranno obbligatoriamente e cioè che nei prossimi dieci anni la crescita dell’economia italiana non superi l’1 per cento annuo e che tutti i lavoratori cerchino di andare in pensione con 35 anni di contribuzione». Comunque al momento, da parte del governo, siamo ancora fermi a livello di enunciazioni e di ipotesi ma presto ogni eventuale cambiamento del sistema previdenziale dovrà essere ufficializzato con il disegno di Legge finanziaria 2004 e quello sarà il momento della verità. Chissà se il governo Berlusconi ed il centrodestra, su un tema scottante come quello delle pensioni, vorrà davvero sfidare i sindacati e l’opposizione rischiando di dover rifare la brutta fine che già fece, nel 1994, l’allora primo governo Berlusconi contrapponendosi al mondo del lavoro sempre sulla questione pensionistica. Chi vivrà vedrà!

Pubblicato il 

03.10.03

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