Pensioni, gli averi dimenticati

«Sappiamo che si tratta di milioni e milioni ma non sappiamo ancora a quanto ammontino gli averi dimenticati attualmente depositati presso il fondo di sicurezza del secondo pilastro.» Gli averi di cui parla Rita Schiavi, presidente Inca-Cgil Svizzera [Inca: Istituto nazionale confederale d’assistenza] e membro della direzione nazionale del sindacato Unia, sono quelli appartenenti a lavoratrici e lavoratori che, dopo aver lavorato per un periodo in Svizzera, fanno ritorno al loro paese d’origine, ignari di aver accumulato nel tempo dei contributi. Il problema si pone in particolar modo con l’Italia dove si è constatato una spiccata difficoltà a rintracciare i legittimi proprietari, a differenza della Spagna e del Portogallo che hanno firmato con l’Ufficio centrale del secondo pilastro (Ufas) un accordo atto a facilitare le procedure di riconoscimento. Nel tentativo di trovare una soluzione a questa realtà in stallo, il sindacato Unia insieme ai Patronati Inca-Cgil e Ita-Uil organizza per venerdì 13 gennaio a Berna un convegno a cui sono stati invitati i rappresentanti di tutti gli enti italiani e svizzeri interessati – ossia l’Istituto nazionale della previdenza italiana (Inps), la Cassa svizzera di compensazione di Ginevra, l’Ufficio centrale del secondo pilastro e l’Ambasciata d’Italia a Berna – a trovare un accordo. Per meglio capire quali sono i termini del problema, ne abbiamo parlato con Rita Schiavi. Signora Schiavi, perché è così difficile sapere quale sia l’ammontare degli averi dimenticati? Si ha l’impressione che in realtà nessuno voglia dirlo con esattezza. Anche se non bisogna ignorare che esiste anche un problema di definizione di cosa siano questi averi dimenticati; nella Cassa centrale del fondo di sicurezza infatti non confluiscono solo gli averi dimenticati del secondo pilastro ma anche i soldi di casse che hanno fatto fallimento o i soldi di persone ancora attive che però cambiano spesso datore di lavoro. Quando si parla di “averi dimenticati”? Quando si è di fronte a lavoratrici o lavoratori che, pur avendone diritto non reclamano i propri averi. Ebbene, in questo caso, dopo due anni di “silenzio” tali averi passano alla Cassa centrale del secondo pilastro che comincia ad effettuare le proprie ricerche quando presume che i legittimi proprietari siano andati in pensione, ossia quando si calcola che questi abbiano compiuto 64-65 anni. L’Ufas di solito rintraccia le persone che ancora risiedono in Svizzera o che, pur tornando nel loro paese d’origine, lasciano perlomeno un recapito. Venendo a mancare queste premesse, diventa davvero difficile per l’Ufas riuscire a localizzarle anche perché di loro spesso possiede solo il loro nome e cognome e data di nascita, a volte nemmeno il numero Avs. Come mai queste persone non ritirano i soldi che hanno accumulato con i loro contributi lavorando in Svizzera? Spesso si tratta di persone che svolgono lavori di breve durata e che ignorano di aver accumulato degli averi e di poterli ritirare quando vanno via. Oppure di persone che prima di tornare al loro paese d’origine sono rimaste disoccupate e perciò non hanno potuto trasferire il loro capitale a una nuova cassa pensione. In generale vi è proprio una mancanza d’informazione in questo senso. Nel caso queste persone non si facciano avanti, per quanto tempo i loro averi restano in giacenza? C’è un termine entro cui devono essere ritirati e vi è il rischio che vadano persi? Sono questioni alle quali non posso rispondere e che speriamo trovino una risposta chiara e precisa il giorno del convegno. Vi sono altre questioni che vorremmo fossero chiarite, sapere ad esempio cosa succede se muore il titolare degli averi, se questi possono essere riscossi dalla vedova oppure dai figli e altre questioni di carattere pratico. Signora Schiavi, come mai l’Ufas, che ha firmato un accordo in merito con Spagna e Portogallo, non è riuscita ancora a concludere un simile accordo anche con la vicina Italia: vi sono forse difficoltà a livello politico? Io ho l’impressione che i problemi siano squisitamente di natura burocratico-amministrativa e che solo in tal senso vadano risolti. Se in Italia, infatti, gli enti ufficiali preposti anche a tale scopo non effettuano le necessarie ricerche attivamente, l’ufficio centrale del secondo pilastro da solo non ha gli strumenti per poter risalire ai diretti interessati. Verrebbe da pensare che vi sia una mancanza di volontà. Qual è il suo parere in merito? Al momento la situazione non è chiara ed è per questo che abbiamo deciso di organizzare questo convegno. Vorremmo si trovasse finalmente una via d’uscita visto che è da circa tre anni che l’ufficio centrale del secondo pilastro (la cui creazione è stata voluta con forza nel 1999 dall’allora Sindacato edilizia e industria) cerca di stipulare un accordo con l’Italia per la localizzazione dei proprietari degli averi dimenticati. Ed ora qualcosa sembra smuoversi. Il fatto che all’incontro partecipino anche i rappresentanti dell’Inps fa ben sperare che si possa al più presto imboccare una svolta. Come mai avete optato per un convegno e non invece per una campagna d’informazione in Italia che raggiunga tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori che hanno prestato servizio in Svizzera? Con una campagna rischieremmo di essere subissati da migliaia e migliaia di richieste non motivate di persone che sperano di avere magari “qualcosina” ancora in giacenza. A noi preme che si faccia una ricerca mirata e che a tale scopo si attivino gli enti preposti che sanno già come e dove muoversi per rintracciare titolari di cui l’Ufas ha notificato la presenza di averi dimenticati. Il convegno mira soprattutto a questo: far sì che gli operatori degli enti siano informati e quindi pronti ad attivarsi per aiutare gli interessati ad ottenere quegli averi che sono frutto del proprio lavoro. Sulle tracce dei capitali del 2o pilastro Signora Rita Schiavi, che cosa deve fare concretamente una lavoratrice o un lavoratore che, dopo aver prestato servizio in Svizzera per un tot di tempo, fa ritorno al suo paese e desidera ritirare il proprio capitale accumulato col secondo pilastro? Se la persona interessata pensa di avere un qualche capitale (tanti infatti ritengono di averne e poi in realtà non ne hanno) può rivolgersi all’Ufficio centrale del secondo pilastro, con sede a Berna oppure può farlo anche tramite un patronato. Con questo primo e semplice passo, uno può capire se ha, oppure no, qualche avere a disposizione. Se la persona in questione fa la richiesta dopo un breve periodo di tempo dalla sua partenza dalla Svizzera, può accadere che all’Ufas non risulti ancora nulla; in questo caso però non bisognerebbe demordere e dopo magari due-tre o 5 anni bisognerebbe rinnovare la richiesta perché nel frattempo può accadere che degli averi possano essere notificati all’Ufas in un periodo successivo all’inoltro della domanda. In ogni caso per chi volesse maggiori informazioni riguardanti i propri averi può consultare il sito www.sfbvg.ch oppure rivolgersi all’Ufficio centrale del 2° pilastro, Fondo di Garanzia Lpp, Belpstrasse 23, Casella postale 5032, 3001 Berna, telefono: 0041 (0) 31 320 61 75; Fax: 0041 (0) 31 320 68 43; e-mail: info@verbindungsstelle.ch.

Pubblicato il

13.01.2006 01:30
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