Si può discutere sulle manifestazioni di gioia del vincitore? Magari di chi ha vinto un oro olimpico? Stiamo parlando di un momento di somma, sublime felicità umana, sovente unica, irripetibile in cui i protagonisti celebrano se stessi, la propria impresa: Jaques Rogge, il belga presidente del Comitato Internazionale Olimpico lo ha fatto commentando il comportamento del 22enne giamaicano Usain Bolt dopo la sua storica vittoria (seguita da altre due) nei 100m a Pechino.
Il ragazzo ha vinto letteralmente a mani basse, e già questo è sbagliato: correndo sino al temine, senza irridere gli avversari, invece di 9 e 69 avrebbe fatto di certo almeno 9 e 65. Il titolo più azzeccato è stato quello a tutta pagina del China Daily: "catch me if you can": pigliatemi se siete capaci... Una bravata, una ragazzata. Dopo il traguardo, Bolt va verso la telecamera e comunica che «l'uomo più veloce del mondo è lui»: non s'era capito bene... Poi imita il divino arciere Apollo: ottima idea. Molto meglio dei calciatori che imitano i gangsters con una Skorpion a canne mozze: i giornalisti dicono che segnano "a mitraglia" e loro ci credono. E' di moda anche battersi il petto come gli Urang Utang: c'est moi. Anche in questo caso ringraziamo perché altrimenti non si capiva bene... E siamo al punto di prima: ci deve essere una misura nella celebrazione? C'è un problema di gusto?
Dal pulpito sommo di Rogge la risposta è sì. Ma il chirurgo fiammingo, non a caso chiamato alla testa del Cio (doping, modifiche genetiche ecc.) dice semplicemente ciò che molto prima di lui ha già detto il massimo cantore degli eroi olimpici, Pindaro. Sentendosi probabilmente in colpa dopo tanti "voli" (pindarici, chiaro...) il poeta, in totale controtendenza rispetto alle sue composizioni a pagamento, esce con un sensazionale verso: «giovane , ricorda oggi il vincitore sei tu, ma il vento muta...». E dice che «l'uomo è l'ombra di un sogno». Emerge dunque una verità che Pindaro doveva sovente nascondere quando faceva risalire l'albero genealogico di qualche vincitore a improbabili incroci fra semidei e fanciulle. Machiavelli dice invece che «il vincitore non si vergogna mai di come ha ottenuto la vittoria». Il vincitore in guerra, naturalmente, il Principe. Nemmeno gli olimpionici per la verità si sono vergognati negli ultimi 30 anni. E molti erano ben peggiori del Principe che sgominava l'avversario grazie al tradimento o allo sterminio degli innocenti. Nessuno si è mai vergognato di vincere grazie al doping, anzi: al traguardo ha gioito, ha ringraziato il cielo, ha salutato gli amici e poi ha negato in modo spudorato anche di fronte all'evidenza.
Occuparsi dunque di Bolt e soci che fanno qualche show di troppo? Parrebbe fuori posto, senonché Rogge ha voluto dare un segnale: agli sponsor e ai vari venditori perché le manifestazioni sempre più esagerate, anche per un bronzo, non sempre sono autentiche. Mister "Tarocco" ci cova. Per vendere meglio le proprie patacche, per aumentare il proprio valore di mercato ci vuole il gesto clamoroso, esagerato, da copertina. Anche la gioia deve essere commercializzata, deve figurare in qualche istantanea insolita: deve essere pazza sul serio, non solo in senso metaforico: di questi tempi i pazzi imperano e vendono, scusateci il gioco di parole, come matti.

Pubblicato il 

26.09.08

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