Partecipare, a condizione che...

È possibile fare una politica di sinistra rimanendo in governo? A questa domanda cercano oggi di rispondere le diverse anime del Partito socialista svizzero, in vista del congresso straordinario che si terrà il 6 marzo a Basilea. Il 15 gennaio è apparso il primo contributo al dibattito precongressuale, un documento di 19 pagine del consigliere nazionale bernese Rudolf Strahm. È una complessa analisi che si conclude con l’alternativa tra una strategia dell’opposizione facente leva su iniziative e referendum votati al fallimento, e la strategia della coalizione con gli ambienti borghesi riformisti su determinate questioni (integrazione degli stranieri, formazione professionale, istruzione, crescita economica, concorrenzialità, singoli aspetti della sanità, ecc.). Un secondo documento, di 22 pagine, è quello pubblicato dal consigliere nazionale giurassiano Jean-Claude Rennwald, che si conclude con un chiaro appello ad uscire dal Consiglio federale ed a cogliere «un’occasione che non si presenterà più per molto tempo». L’invito di Rennwald è a «sperimentare qualcosa», cioè a passare all’opposizione per far crescere il partito. Tra questi due estremi, il documento presentato la settimana scorsa dal consigliere nazionale Franco Cavalli appare incredibilmente, nonostante il tono barricadiero, come il più equilibrato e prudente. In 13 capitoli e 18 pagine viene presentata una lettura decisamente di sinistra del momento storico che stiamo vivendo. La crisi del capitalismo passa attraverso il fallimento di una globalizzazione che riduce la democrazia nelle società, impiegando strumenti quali l’abbattimento dello stato sociale, la privatizzazione dei servizi pubblici, la politica fiscale e la riduzione delle prestazioni pubbliche. La risposta dei socialisti dev’essere puntuale e precisa: per i diritti sociali, per il lavoro e l’ambiente, per un’effettiva parità di trattamento e di opportunità, per il controllo democratico dell’economia, per uno stato e una società più democratici e aperti, per una politica mondiale guidata dall’Onu, per la pace e la solidarietà. L’obiettivo dei socialisti viene chiaramente indicato nell’eliminazione di ogni forma di sfruttamento dell’uomo e nel perseguimento di una maggiore democratizzazione della società. Fin qui la “visione del mondo” di cui il Pss deve farsi portatore in Svizzera. Ma come agire, dal momento che il blocco di destra ha apertamente dichiarato di non volere più la politica di concordanza, di non voler più alcun compromesso con la sinistra? Ciò significa che, con questo nuovo Consiglio federale, «il margine di manovra si è drammaticamente ridotto». Questo significa che i socialisti devono automaticamente uscire dal governo? «Non credo», ha detto Cavalli. Ed il suo documento porta ad una conclusione originale. Poiché la posizione dei socialisti in Svizzera oscilla tra opposizione e partecipazione al governo, è inevitabile che vi siano momenti in cui quest’ultima assuma un peso maggiore: per esempio quando attraverso la collaborazione al governo si possono ottenere vantaggi concreti. Vi sono però anche momenti, come quello attuale, in cui è l’opposizione a giocare un ruolo più pagante. Ma uscire dal governo, cambiare politica di punto in bianco non servirebbe a nulla. Occorre prima prepararsi, «cambiare i modi di fare del partito e della sua cultura politica». In concreto, la proposta di Cavalli è che il 6 marzo il Pss cominci a fissare le condizioni della sua partecipazione al governo. I due consiglieri federali socialisti devono collaborare al nuovo corso d’opposizione del partito, e dopo un anno si fa una verifica di quanto siano riusciti a produrre sul piano strettamente politico d’opposizione alla svolta neoliberale. Lo stesso andrebbe fatto negli esecutivi cantonali. Questa dell’opposizione “in prova” per un anno può sembrare un’idea insolita, ma è in realtà un rigido strumento di autodisciplina, poiché costringe il partito a fissare degli obiettivi d’opposizione anche a breve, oltre che a medio e lungo termine, e ad attenersi al programma fissato nei prossimi 12 mesi. È solo dopo questo primo periodo che si potrà decidere se rimanere in governo, o separarsene per assicurare la sopravvivenza del partito.

Pubblicato il

06.02.2004 02:00
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