"Spero che leggendo riusciate a sentire la musica". È l'augurio con cui Franco Fabbri conclude una breve nota introduttiva al suo Album Bianco. Diari Musicali 1965-2000, appena pubblicato da Arcana. La musica si comincia a sentirla fin dal titolo, che rinvia al celebre doppio Lp dei Beatles: nel suo eclettismo, nella varietà di durata dei brani, nel loro carattere nostalgico o di proiezione nel futuro. Fabbri trova un'affinità con la raccolta di storie con cui ha composto questa sua autobiografia. Autobiografia musicale: perchè parla di tante sue esperienze con la musica, ma anche perchè ne parla con una godibilità che è quella di un disco riuscito e avvincente. Il nome di Franco Fabbri è per tanti legato a quello degli Stormy Six: gruppo italiano degli anni settanta che da un lato attirò l'attenzione in Italia e all'estero degli appassionati di musiche innovative col suo rock "progressivo", come si dice in gergo, fuori dagli schemi, autonomo rispetto ai modelli correnti del rock anglosassone; ma da un altro ha trovato un posto nel cuore di tanti giovani, non sempre particolarmente interessati alle cose musicali, che tre decenni fa "facevano" politica in Italia e che adottarono come un inno una canzone degli Stormy Six come la celebre Stalingrado, che, in maniera anomala, entrò di prepotenza nel repertorio dei canti "di lotta" della tradizione popolare e del movimento operaio italiani. Dopo gli anni ruggenti della vicenda degli Stormy Six (una vicenda che di tanto in tanto continua a rinnovarsi con qualche riunione in concerto di questo gruppo di culto), Fabbri si è qualificato come un intelligente studioso di "popular music" e come un acuto osservatore di fenomeni musicali contemporanei. Sempre con un approccio ironico e un senso dello humour che ora rendono particolarmente godibile il suo Album Bianco, che con un felicissimo taglio narrativo ripercorre numerosissimi momenti del nostro passato prossimo musicale, in un continuo rinvio fra le scoperte delle novità della musica internazionale e la ricerca di strade originali, fra suggestioni provenienti dalle musiche di grande consumo e stimoli offerti dalle musiche "di ricerca"; un rinvio che è oltre — come l'esperienza degli Stormy Six — le gerarchie astratte di "alto" e "basso". Ma Fabbri non ci dà soltanto un interessante descrizione dall'interno di un mondo musicale, della musica nel suo farsi materiale in un intreccio di influenze diverse e in un contesto concreto, e anche nei suoi accidenti aneddotici. Ci racconta degli anni, anni non qualsiasi: senza fare sconti e senza farsi prendere la mano dalla nostalgia, ma riuscendo a restituircene il sapore reale. O — come direbbe lui — a farcene sentire la musica. |