Sandro Lombardi e Rolando Lepori. Il primo è da 20 anni direttore dell'Associazione delle industrie ticinesi, mentre il secondo da una vita è sindacalista nel ramo industriale. A loro area ha chiesto di parlare della realtà del settore, dei suoi pregi e delle sue debolezze. Abbiamo anche chiesto se la crisi attuale non potesse essere l'occasione per costruire un tessuto industriale di qualità in grado di versare salari dignitosi e quale ruolo possa giocare lo Stato in questa partita.

Suddividendo le aziende tra produttrici di basso e alto valore aggiunto, in che percentuali queste due categorie compongono il tessuto industriale ticinese?
Sandro Lombardi: L'80 per cento delle industrie vende all'estero.  Circa la metà di queste sono ad alto valore aggiunto, mischiato tra produzione conto terzi e prodotti propri.  Poi c'è il 20 per cento che produce per il mercato interno, che in questo momento è quello che sta, per ora almeno, pagando meno di tutti la crisi.
La crisi colpisce entrambe le categorie?
Rolando Lepori: Sì, la crisi colpisce indistintamente dal tipo di produzione.
Lombardi: Chi ha il prodotto proprio e vende all'estero, è in crisi. Chi non ha un prodotto proprio e vende in Svizzera, sarà l'ultimo ad essere toccato. Sembra paradossale, ma è così. D'altronde succede ad ogni crisi "normale", e malgrado questa sia eccezionale, lo schema si ripete.
Per essere pronti quando arriverà la ripresa economica, è opportuna una modifica strutturale del tessuto industriale?
Lombardi: Ho sempre sostenuto che una delle debolezze dell'industria cantonale è di avere un prodotto proprio limitato a piccole produzioni e di lavorare molto per conto terzi. Di questi tempi, ho un dubbio su questa convinzione. Oggi è più facile convertire un'azienda di sottoforniture che una ditta con un prodotto proprio.
Lepori: Sarà difficile verificare questa tesi perché l'attuale crisi è talmente generalizzata che sta paralizzando ogni tipo d'industria. Il problema è che molti si concentrano solo su uno o due grossi clienti, senza diversificare la clientela.
Entrambi sostenete dunque che usciranno dalla crisi prima le imprese che lavorano per conto terzi invece di avere un prodotto proprio di qualità?
Lombardi: Con questa crisi mi pare potranno uscirne meglio, e forse anche prima, quei sottofornitori che allargheranno lo spettro delle loro specializzazioni.
Le imprese a basso valore aggiunto vivono sui bassi salari. E devono confrontarsi con gli stipendi dell'est europeo o asiatici. Possibile che riusciranno a sopravvivere?
Lombardi: Queste vivranno finché sarà possibile. Io parlo di aziende che hanno della buona tecnologia, dei salari europei e producono per conto terzi.  
Poiché la crisi sta colpendo l'intero tessuto industriale, non sarebbe possibile favorire uno sviluppo qualitativo dell'intero comparto cantonale?
Lepori: Non credo che questa crisi favorirà un migliore tessuto industriale. Anzi rischia di indebolirlo. Non è che un'azienda industriale si inventa dall'oggi al domani. Ci vuole la competenza necessaria. In Ticino non abbiamo una classe industriale che possa definirsi tale. Abbiamo una serie di artigiani che sono diventati industriali quasi per caso. La tradizione non esiste.
Lombardi: Venti anni fa lo dicevo anch'io, facendo arrabbiare i miei associati. Oggi dico che non è più così. Nel 1962, quando è nata, la nostra associazione si chiamava "industriali ticinesi". Prima che arrivasse il sottoscritto, è diventata "Associazione delle industrie ticinesi" perché ci si è accorti che di titolari ce n'erano pochi. Ora invece si sta formando una classe nuova, di quarantenni, che hanno una cultura industriale.
Ma lo Stato non potrebbe favorire una crescita industriale di qualità? Già oggi investe milioni attraverso la Legge sull'innovazione per «rafforzare il tessuto economico cantonale, con lo sviluppo di attività innovative ad elevato contenuto tecnologico ed alto valore aggiunto».
Lombardi: La legge sull'innovazione è l'investimento migliore che il Cantone potesse fare. 8 milioni all'anno sparpagliati su numerosi investimenti, sono poca cosa. Sono però uno stimolo enorme per chi li riceve. Creano la percezione positiva di uno Stato sensibile al settore industriale.
Lepori: Il problema della commissione incaricata di decidere a chi destinare gli aiuti, di cui faccio parte, è fare la scernita giusta a fronte di una miriade di proposte.
Ma non sarebbe meglio canalizzare i fondi, visto che sono relativamente pochi, su alcuni settori innovativi?
Lombardi: No. Siamo sopravvissuti a tutte le crisi perché la nostra industria è diversificata. Se avessimo un solo settore, oggi saremmo in ginocchio. La legge innovazione va applicata rapidamente e per tutti. Chi investe oggi, è un eroe che va premiato.
Lepori: Noi dobbiamo rispettare il vincolo di legge che dice chiaramente chi possiamo sussidiare e chi no. Se dovessimo optare per aziende particolarmente innovative, il rischio d'investimento è molto elevato. Non possiamo assumerci questo rischio coi soldi pubblici. Sussidiamo imprese che si fondano su prodotti consolidati, e che investono per migliorare la competitività.
Puntare sulla logistica negli anni 90 non è stato un errore?
Lombardi: La speranza era che i grandi gruppi di moda potessero, oltre alla logistica, portare qua la produzione come ha fatto Zegna molti anni fa. Naturalmente, era una strategia che condividevo pienamente all'epoca, anche se purtroppo poi non si è realizzata per molti fattori.
Riassumendo, entrambi ritenete la Legge sull'innovazione un buon strumento, ne fate un bilancio positivo e in questo momento di crisi non credete necessario un intervento concertato tra industriali e sindacati con la supervisione dello Stato per definire un politica economica a sostegno di un'industria ad alto valore aggiunto in grado di versare stipendi dignitosi?
Lombardi: Se la domanda è posta in questo modo non posso che dire di sì ad un simile intervento. Ma non è giusto penalizzare in questo momento le altre imprese. La ricchezza prodotta da imprese che versano bassi salari porta ugualmente vantaggio sia allo Stato, in termini fiscali, che ai lavoratori. Sparite quelle imprese, i suoi dipendenti non hanno più un lavoro.
Lepori: Vietare salari inferiori a 3 mila 500 franchi, vorrebbe dire sopprimere decine di migliaia di posti di lavoro.  Alcuni settori industriali, orologeria in primis, sparirebbero completamente. È giusto?
Si potrebbe però immaginare una strategia sul lungo termine che, senza scosse telluriche, costruisca un tessuto industriale capace di pagare salari dignitosi.
Lombardi: È proprio questo l'obiettivo della Legge sull'innovazione.
Lepori: Il problema è che storicamente in Ticino ci sono aziende nate sui salari bassi. Occorre quindi molto tempo per una modifica strutturale. 

Pubblicato il 

27.03.09

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