Alla fine di questo mese si tiene a Dubai la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Partecipano tutti i paesi membri della Convenzione sul Clima (tra cui la Svizzera). Alla vigilia di quell’incontro sembra ammettere anche il presidente della conferenza, Sultan al-Jaber, che è soprattutto direttore generale della Compagnia nazionale petrolifera degli Emirati Arabi Uniti (Adnoc) che “l’abbandono progressivo delle energie fossili sarà ineluttabile”. Quasi contemporaneamente esce una nuova analisi presentata dall’Istituto internazionale dello sviluppo sostenibile (Iisd) che fa un discorso diverso: lo scorso anno (2022) i governi del G20 (quindi tutti i paesi cosiddetti industrializzati, compresi Cina e Russia), ritenuti responsabili nella misura dell’80 per cento del gas a effetto serra, hanno destinato all’industria fossile (petrolio, gas, scisti, carbone) denaro pubblico sotto forma di sussidi a produttori e consumatori e investimenti e prestiti in capitale, l’astronomica somma di 1.400 miliardi di dollari. La guerra in Ucraina, le note sanzioni, il conseguente forte aumento dei prezzi e lo sviluppo delle energie rinnovabili, non hanno invertito la linea crescente del consumo delle energie primarie, di cui la parte dei fossili rimane sempre largamente maggioritaria (82 per cento). Ciò è avvenuto grazie ai sussidi pubblici che, rispetto al decennio precedente, si sono moltiplicati per quattro (sempre secondo l’analisi dell’Iisd). C’è dunque una prima contraddizione, rispetto ai proclami e ai propositi politici sottoscritti dai governi. C’è però soprattutto una sorta di difficoltà a percepire o di rifiuto a dover chiarire e ammettere, in termini di bilancio economico-sociale, il problema che si pone. L’una e l’altro emersi anche negli atteggiamenti di alcuni partiti nelle nostre recenti elezioni, con il clima che diventa panzana ideologica e gli oneri legati al clima mania statalista. Lo rileva il servizio economico-finanziario del Fondo Monetario Internazionale che dice: “Anche la maggior parte dei sussidi dipende da una sottovalutazione dei costi sociali e ambientali legati all’uso delle energie fossili”. Con un’aggiunta, tanto paradossale quanto “disumana”: il totale dei sussidi ai combustibili fossili rappresenta il doppio delle spese pubbliche destinate all’educazione e circa i due terzi delle spese destinate alla salute della popolazione. Quanto a dire che i fossili riescono a muovere, l’educazione e la salute, poco. Rimane comunque un fatto deviante: si pone l’occhio critico sui governi, com’è giusto, ma si dimentica che a fare il gioco è sempre la Finanza (l’hanno capito quei giovani svizzeri che assediano le “hall of fame” delle nostre grandi banche per criticare le loro incoerenze negli investimenti). Come spiegare che il petroliere saudita Saudi Aramco, la lunga mano sulle banche svizzere (che ha anche portato un fallimento), riesca nelle scorse settimane a far sottoscrivere sui mercati un prestito di 1.000 miliardi di dollari? Non è la prova provata che gli operatori finanziari navigano sempre tranquillamente da quelle parti senza vedere all’orizzonte l’“ineluttabile abbandono”?
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