Parabole e paraboliche: Evviva le mezze stagioni!

Avendo le ultime puntate di questa rubrichetta provocato un certo tramestio nei lettori di questo giornale, ho deciso oggi di occuparmi d’ora in poi di temi meno controversi, che non dovrebbero quindi agitare il lettorato socialista o di «area»: vorrei cominciare con il tempo. Come ben sapete, infatti, il tempo non è più quello di una volta. Tanto per cominciare non ci sono più le mezze stagioni: le si erano viste per l’ultima volta negli anni ’60. Sebbene alcune frange maoiste temessero le mezze stagioni come manifestazione pericolosa della sempiterna tendenza borghese alla mediazione, i più illuminati tra i giovani contestatari amavano quel tanto di incompiuto e creativo che la mezza stagione porta con sé. Non è un caso infatti se vi fu il maggio a Parigi, la primavera a Praga e l’autunno caldo in Italia. Né estati né inverni, per il Movimento, compagni! Purtroppo con il passare del tempo e l’incombere degli stilisti, si andò sempre di più verso una trasformazione epocale, per cui i tempi della politica e quelli delle collezioni andarono assomigliandosi: non più quattro stagioni, ma due cataloghi: autunno–inverno e primavera–estate. Più tardi le illusioni edonistiche degli anni ’80 poterono far sperare in un mondo dove fosse possibile liberarsi delle incertezze meteorologiche come delle oscillazioni di borsa. Motivo per cui il tempo cominciò a «rispettare le aspettative» o «deludere le attese». Non vi fu posto per categorie romantiche e sentimentali, come le «stagioni». Con la caduta del muro, poi, sembrò poco elegante mantenere la rigida divisione dell’anno in quattro unità in perenne guerra fredda (o calda, a seconda dell’isoterma) tra di loro. Si concordò dunque che a tutto l’arco dell’anno sarebbe stato applicato il nuovo ordine meteorologico. Il tempo diventava un continuum, si passava senza accorgersene dall’inverno all’estate e viceversa anche perché la nuova economia globalizzata non poteva certo permettersi l’incongruenza dei monsoni in Asia, del Niño in Sudamerica e dell’estate indiana in Canada. Una sola stagione per tutti! Che non mettesse in crisi gli allestitori delle vetrine mcdonald’s! E oggi? In questo stanco 2001? Il tempo è in crisi. Incertezza è la parola. Non sappiamo più quale sia il nemico! La troppa pioggia? Il troppo caldo? Il freddo precoce? Come si può affrontare il tempo, se non con una grande coalizione mondiale, che rimetta i cicloni al loro posto, magari bombardandone le nuvole? Fukuyama proclamò la fine della storia. Beh, se tanto mi dà tanto, potremmo essere altrettanto avventati e proclamare la fine del clima.

Pubblicato il

05.10.2001 12:30
Sergio Savoia