Pane e traduzione

Viviamo di pane e traduzioni. Nel nostro paese quadrilingue più l’inglese veniamo spesso informati con testi tradotti, contaminati da un’altra lingua o redatti da teste che traducono. Fateci caso: quando mai vi verrebbe da dire che il tempo è bello ma c’è il rischio «per qualche temporale serale»? Eppure questa frase ci viene ammannita un giorno sì e uno no al punto che l’abbiamo fatta nostra. Così la constatazione che a volte bisogna prendere dei rischi, o anche prendere un bagno, a scelta. Senza arrivare alle spaventose traduzioni sulle confezioni dei prodotti – il tè che bisgna «lasciar tirare tre a cinque minuti», il set di scopino e paletta che «occupa poca piazza» – il baco della parola tradotta a sproposito è sempre lì che rossicchia le nostre competenze linguistiche. Vivere in un paese che parla una lingua e doverne riferire in un’altra non è facile. Ci cascano e ci sono cascati anche i migliori. Un giornalista italiano raffinato e colto, da anni residente a Londra è arrivato a dire che la decisione di bruciare centinaia e centinaia i capi di bestiame durante l’epidemia di Afta epizootica «faceva senso» Come dargli torto? Sembravano riprese in differita dal medioevo le immagini delle carcasse fumanti che ci arrivavano sui teleschermi. Il fatto è che lui intendeva dire che la misura si giustificava, aveva senso. Tradotto letteralmente dall’inglese «it makes sense». Un altro amico inglese (ma lui è scusato perché stava imparando l’italiano) mi disse che Londra è una città molto interessante perché c’è gente di tutti i razzi. Londra come Cape Canaveral. Ma questo è il meno della cavagna, come si suol dire. Il bello viene quando noi ticinesi in trasferta in Italia traduciamo direttamene dal dialetto. Una volta, in Sicilia, la mia compagna di viaggio descriveva a un isolano la nostra passione per la montagna e di come siamo bravi a «far fuori le stalle». Siccome quello non capiva ha specificato «facciamo fuori i rustici». Alla faccia della mafia, che metodi hanno questi svizzeri del sud, sparano ai contadini? – Ma no, siamo gente pacifica, gli abbiamo poi spiegato. Accendiamo il camino, facciamo il fuoco, mettiamo là la polenta a cuocere e naturalmente tiriamo su una bella bottiglia. – Dalla cantina? – Aeeee! gli fa lei, che cominciava a spazientirsi. In ogni caso è molto bello, anche se ci sono sempre più zucchini che vengon giù a stufire la zicoria. Il capitolo sugli ortaggi delle nostre montagne abbiamo dovuto spiegarglielo due volte. Poi gli abbiamo raccontato degli sport invernali. Ci piace andare a far pelli... – ?????..... – Ma sì, a piedi con sotto gli sci, le pelli di foca no? – Ah le escursioni con gli sci. Scusa sai ma noi qui siamo gente di mare, non siamo pratici. Ehh ho capito, fa lei comprensiva. Informato e un po’ stordito il nostro conoscente fa per andarsene. – Scusa, prima di scappare... indov’ è che si mangia bene? È bella l’Italia perché è facile farsi dentro con gli altri.

Pubblicato il

09.11.2001 14:00
Cristina Foglia
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