Ivan Pavlov, scienziato sovietico degli inizi del ’900, si occupò a lungo del comportamento dei cani. Uno dei suoi studi più famosi è quello sui riflessi condizionati, conosciuto appunto come esperimento del “cane di Pavlov”. Prima di dare da mangiare all’animale, Pavlov suonava un campanello. All’udire quel suono, il cane incominciava a salivare. Poco importa che il cibo arrivasse o no. Come si è potuto constatare durante il recente sciopero alla Exten di Mendrisio, anche parte del padronato ticinese ha sviluppato un riflesso condizionato. Quando sente la parola “sciopero” non saliva, ma abbaia. Appena vede i lavoratori e le lavoratrici incrociare le braccia, non riesce a trattenersi dal gridare ai quattro venti che tale comportamento sarebbe “illegale” e a minacciare denunce contro operai e sindacati.


Eppure, basterebbe informarsi un po’ per sapere che il diritto allo sciopero è un diritto fondamentale riconosciuto da numerosi trattati internazionali. Sia come diritto in sé, menzionato per esempio dal Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali delle Nazioni Unite, dalla Carta araba dei diritti dell’uomo o dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, sia come corollario indispensabile al diritto di associazione sindacale, garantito in particolare dalla Convenzione n. 87 dell’Organizzazione internazionale del Lavoro. Il diritto di sciopero figura inoltre nella Costituzione federale e in quella ticinese. È vero che nessuna di queste convenzioni gli riconosce un carattere assoluto, alcune categorie professionali possono infatti vedersi proibire lo sciopero, e il rifiuto del lavoro non deve essere una misura sproporzionata rispetto alla situazione. Ma di fronte alla nuova e odiosa moda del padronato svizzero di ridurre unilateralmente il salario degli operai e delle operaie, misure ben più drastiche rispetto a un semplice sciopero sarebbero tanto proporzionate quanto legittime.


Inoltre, sorprende sempre un po’ vedere i padroni ticinesi e i loro portavoce riscoprirsi paladini della legalità. Loro che si pretendono così preoccupati del rispetto del diritto del lavoro e della pace sociale, dov’erano quando la Graniti Maurino Sa licenziava abusivamente tre operai portoghesi, colpevoli di avere partecipato allo sciopero delle cave? Dov’erano le dimostrazioni di sdegno quando si rendevano pubblici i numerosi casi di caporalato, in particolare sul cantiere Lac di Lugano con paghe di 10 franchi all’ora invece dei 25 previsti dal Contratto nazionale mantello dell’edilizia? Guardavano probabilmente altrove, mantenendo un complice silenzio. Perché quando in gioco ci sono i profitti, per chi detiene i mezzi di produzione la legge è considerata un’arma. Quando si tratta invece di difendere la vita degli operai, ecco che diventa un impiccio o un dettaglio irrilevante.


Illegale o no, lo sciopero alla Exten si è concluso con una vittoria. Così com’è successo alla Smb Sa di Biasca, con il ritiro di tre licenziamenti abusivi. Alle Ferriere Cattaneo non è stato nemmeno necessario incrociare le braccia, visto che il clima di mobilitazioni operaie ha convinto gli amministratori a ritirare spontaneamente il piano di riduzione salariale. Che il padronato continui quindi pure a gridare all’illegalità perché, come ricordava Don Chisciotte a Sancio Panza, “I cani ci abbaiano dietro, Sancio? È la prova che stiamo cavalcando”.

Pubblicato il 

18.03.15
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