Palace, quando l’architettura (non) fa discutere

«La scelta dell'architetto Gianola quale progettista del Polo culturale di Lugano non è caduta così per caso, né per clientelismo né per oscuri giochi di potere, ma… sulla base di un pubblico e democratico concorso [al quale] hanno partecipato anche alcune delle star dell'architettura… i cui progetti furono scartati perché ritenuti dalla giuria di qualità inferiore a quello di Ivano Gianola», scrive Paolo Fumagalli nel settimanale Azione (23.5.2006), in risposta al mio articolo pubblicato su area (5.5.2006).
L'obiettivo principale del mio intervento, che è stato all'origine di una successiva mozione Ps-Verdi, era di far riflettere sull'opportunità di spendere 36 milioni di franchi – nel quadro del credito di 169 milioni stanziato per la costruzione del Polo culturale (ex Palace) – per qualche cosa che di culturale non ha nulla: un autosilo sotterraneo di quattro piani. L'intera costruzione del museo della Fondazione Beyeler presso Basilea, di Renzo Piano, oggi una perla in Europa, non è costata molto di più (55 milioni). Certo, dal profilo tecnico il paragone forse non regge, ma è più che utile a mo' di illustrazione. Sarebbe stato interessante sapere quale fosse l'opinione dell'architetto Fumagalli su questo futuro autosilo al Palace, anche perché esso avrà un impatto considerevole sulla sostenibilità viaria e ambientale del nuovo lungolago di Lugano, da lui progettato, ma non se ne trova un cenno nel suo articolo.
Egli si concentra invece sull'affermazione secondo cui il fatto che per la progettazione del Polo culturale non si abbia optato per un architetto di fama mondiale – la cosiddetta "Archistar" – sia un'«occasione sprecata». Qui, effettivamente, c'è stato un malinteso che va chiarito. Per spiegarlo, in seguito all'articolo di Fumagalli ho fatto una piccola ricerca negli archivi delle riviste e dei giornali di quegli anni.
No, l'occasione sprecata cui mi riferivo non è necessariamente dovuta alla mancanza di un'"Archistar". Il nome non basta. Se il risultato ne è un edificio come, ad esempio, il nuovo casinò di Campione d'Italia, progettato da una di queste star dell'architettura citate da Fumagalli (Mario Botta), allora non rimane che dire: no, grazie. In effetti, non bisogna essere esperti dell'architettura per constatare, a occhio nudo, la sua incompatibilità con il paesaggio circostante. Finora ho solo sentito commenti negativi su quella costruzione, soprattutto a Lugano. Ma erano tutti commenti a voce. Perché finora non c'è stato un dibattito pubblico in Ticino su questo edificio, che pur essendo costruito sul suolo italiano ci concerne da vicino? Come mai Fumagalli e altri architetti nostrani non si esprimono? In Italia invece ci sono state delle critiche, eccome. Il sindaco di Varese, anch'egli un Fumagalli (Aldo), l'ha chiamata «quell'orrenda costruzione di Botta» (1). Luigi Prestinenza Puglisi, che insegna la storia dell'architettura contemporanea all'Università di Roma La Sapienza, la inserisce fra le opere meno riuscite dell'architetto ticinese: «le realizzazioni di Botta appaiono sempre più deludenti perché pesanti, tristi, ripetitive. Se non tozze e prive di luce, aria, libertà spaziale, vitalità compositiva», scrive nel suo articolo "Le confusioni architettoniche di Botta" (2).
Ma torniamo al futuro Polo culturale. Non è, quindi, il risultato a lasciarmi perplesso. Il progetto di Gianola è valido e pregevole e va quindi rispettato. Inoltre, rappresenta un riconoscimento per un architetto ticinese che si è fatto le ossa soprattutto fuori dal Cantone (Svizzera tedesca, Austria, Germania). Ma è la procedura che deve lasciarci perplessi.
La prima fase del concorso iniziò nell'estate del 2000 e si concluse nel marzo 2001. Alla testa della giuria fu nominato Mario Botta, gli altri membri erano Gonçalo Byrne (Barcellona), Raffaele Cavadini (Muralto), Bernhard Furrer (Berna), Giorgio Giudici (Lugano), Giuliano Gresleri (Bologna), Werner Oechslin (Einsiedeln) e Raffaele Cavadini (Muralto). Al termine della prima fase fra 122 progetti inoltrati la giuria ne scelse quattro, tutti di architetti ticinesi. Oltre a Ivano Gianola si trattava di Tita Carloni & Associati, Michele Arnaboldi e Sebastiano Gibilisco. Nella seconda fase fu premiato il progetto di Gianola.
Certo, è possibile che l'insieme degli altri progetti fu, come scrive Fumagalli, «di qualità inferiore». Ora, è evidente che in un ambito come questo parlare di qualità "inferiore" o "superiore" non esprime un giudizio del tutto oggettivo, ma dipende da preferenze, scuole di pensiero, o anche preconcetti del tutto soggettivi. Vi è da chiedersi: è possibile che non ci fosse alcun architetto non ticinese in quella rosa dei quattro?
Nei media locali ciò non destò particolari discussioni. Tutti celebrarono il successo della "scuola ticinese". Non così al di là delle Alpi. "Tessiner Heimspiel", intitolò ironicamente la Neue Zürcher Zeitung e il suo critico d'architettura Roman Hollenstein parlò di «sorpresa» (30.4.2001). Il quotidiano friburghese La Liberté riportò qualche commento critico che vale la pena di citare. L'architetto bellinzonese Filippo Broggini si chiedeva come mai «una decina di progetti di architetti del calibro di Jean Nouvel fossero misteriosamente scartatati, senza nemmeno essere esposti, per lasciar spazio alla giuria presieduta da Mario Botta». Nello stesso articolo troviamo la dichiarazione del presidente Plrt Giovanni Merlini, allora semplice deputato, secondo cui ci sarebbe in Ticino, attorno a Botta, «un'eccessiva dipendenza monoculturale».
Sempre Broggini scrisse su Polyrama (Nr. 116, 2003), un giornale del Politecnico di Losanna, un articolo interessante dal titolo "Tessin, l'alerte rouge" (3). Ecco qualche passaggio (traduco liberamente dal francese): «In Ticino gli architetti sono semplicemente incapaci di agire al passo coi tempi! Questo approccio di pura imitazione si è dato la forma istituzionale di una "Local Academy" [di Mendrisio, ndr.] che comincia a produrre i suoi frutti clonati. È azione lenta e silenziosa di un vero e proprio terrorismo culturale che corto-circuita le idee nuove promuovendo le mediocrità del passato. Si tratta del protezionismo ad oltranza di fronte alla scelta di idee nuove. La ricerca non si fa nemmeno nei concorsi d'architettura locali siccome essi sono diretti da giurie composte da vecchi signori, attenti alla ridistribuzione dei favori e dei regali, i quali sono ovviamente offerti ai più sterili e ai meno iconoclasti! Troppo spesso, i cosiddetti "concorsi internazionali" ticinesi (vedi Palace di Lugano) scartano progetti di Kazuyo Sejima o Zaha Hadid per far trionfare la "buona scuola ticinese". Purtroppo, il vecchio slogan "Ticino terra d'artisti" produce oggi i propri misfatti».
Per capire meglio queste affermazioni occorre fare un ulteriore passo indietro. Alla fine degli anni Novanta vi fu una ditta – Accento Sa – costituita con lo scopo di difendere gli interessi dei due progetti di casinò (Lugano e Locarno/Ascona) in vista dell'ottenimento della concessione federale. Per la costruzione dei due casinò fece un invito mirato ad alcuni architetti di fama mondiale ma anche a un paio di architetti giovani ed emergenti. Fra i primi vi furono Jean Nouvel, Zaha Hadid, Kazuyo Sejima, David Chipperfield. Fra i secondi Njiric & Njiric (Belgio), Jean-Philippe Vassal e Anne Lacaton (Bordeaux), Riegler & Riewe (Graz). Accento Sa spese allora quasi un milione di franchi per pagare i vari progetti. Per la costruzione prevista a Lugano, al Palace, vinse il progetto di Vassal e Lacaton, ma anche quello di Zaha Hadid fu considerato particolarmente pregevole. Tuttavia in sede politica si decise di non continuare su quella strada e tutti i progetti furono messi nel cassetto, senza mai uscire alla luce del giorno. A quel punto si optò per la creazione di una nuova giuria, presieduta da Botta.
Ma anche al successivo concorso internazionale, aperto a tutti, hanno partecipato diversi architetti conosciuti a livello internazionale. Tranne i due citati da Fumagalli – David Chipperfield e Zaha Hadid  – c'erano Dominique Perrault (Bilblioteca nazionale di Francia), Mario Bellini (Centro culturale di Torino), Josef Paul Kleihues (Museum of Contemporary Art, Chicago).
Infine, va precisato che, a livello di procedura, per la seconda fase del concorso la giuria decise di scartare altre soluzioni possibili e auspicabili. Sempre Hollenstein, ad esempio, aveva suggerito che la ristrutturazione del vecchio Palace fosse affidata a Tita Carloni e che per la progettazione del teatro-museo fosse indetto un nuovo mini-concorso limitato ai quattro ticinesi ma invitando anche in modo mirato qualche architetto esterno come Ben van Berkel, Zaha Hadid, Steven Holl o Peter Zumthor (Nzz, 1.6.2001). Ma così non è stato.


1)
www3.varesenews.it/varese/articolo.php?id=26820
2)
www.prestinenza.it/scrittibrevi/stroncature/Botta.dwt
3)
http://polyrama.epfl.ch/art_P116_Tessin.html

* consigliere comunale Ps, Lugano

Pubblicato il

09.06.2006 03:30
Nenad Stojanovic