È il 26 novembre del 2018, quando un “manager di transizione” del gruppo britannico Luxfer Holding Plc annuncia la chiusura del sito industriale. A Gerzat, nella banlieu Nord di Clermont-Ferrand, gli operai sono increduli. La lista di comande è lunga un'infinità e la fabbrica funziona bene: nel 2018 la cifra d'affari è stata di 22 milioni di euro, l'utile netto di un milione, in progressione del 55% rispetto all'anno precedente. Inoltre, lo stabilimento era stato acquisito nel 2001 per pochi euro ad una società nazionalizzata: sono dunque i contribuenti francesi che hanno finanziato i macchinari e il savoir-faire dell'impresa. Eppure la casa madre, detenuta da fondi d'investimento come BlackRock e Fidelity, decide che lo stabilimento francese va chiuso. L'unica fabbrica europea attiva nella produzione di bombole per l'ossigeno d'alluminio, oltre la metà delle quali destinate ad uso medico, viene così bloccata nel giugno del 2019. I 136 impiegati della Luxer Gas Cylinders sono licenziati dopo che, tra marzo e aprile 2019, avevano bloccato per un mese le attività. Un conflitto sociale che è continuato fino ad oggi, in un contesto in cui, a causa dell'emergenza Coronavirus, le carenze di bombole d'ossigeno, a suo tempo preannunciata dagli ex dipendenti, è una triste realtà in Europa. Luxfer ha giustificato la chiusura del sito francese con il “deteriorato contesto economico”. Il gruppo holding britannico ha così deciso di “riorganizzare la sua attività concentrando questa attività negli stabilimenti di Notthingham (Gb) e Riverside (Usa)”. Per i sindacati francesi, in realtà, si tratta di una pura e semplice speculazione: “Il gruppo, che ha una sorta di monopolio sul settore, ha voluto sostituire i prodotti di altissima qualità realizzati in Francia con altri di qualità inferiore fabbricati altrove, a costi di produzione più bassi e prezzi di vendita in crescita del 12%” spiega ad area Axel Peronczyk, rappresentante sindacale della Cgt. Per i sindacati non vi era dubbio: le soluzioni c'erano per rivitalizzare il sito e mantenere l'attività in Francia. Addirittura, 55 operai avevano messo in piedi un piano per riacquistare la fabbrica e ripartire in autonomia. I vertici dello Stato e dell'azienda hanno però fatto scena muta. In gennaio, la mobilitazione si è accentuata quando, dopo l'invio di alcuni bulldozer, gli ex operai si sono visti obbligati ad occupare la fabbrica 24 ore su 24: “Occorreva impedire che i proprietari entrassero di notte e smontassero le nostre efficienti macchine pezzo per pezzo, il che avrebbe segnato la fine di tutte le possibilità di rifare partire il lavoro” ci spiega ancora Axel Peronczyk. L'occupazione impedisce la distruzione dei mezzi di produzione e dura fino al 19 marzo, nel bel mezzo della crisi del Coronavirus. Per rispettare le misure di contenimento, gli ex dipendenti decidono di rimettere il sito sotto la responsabilità della prefettura. I lavoratori in lotta prendono alla lettera il discorso del presidente Emmanuel Macron del 12 marzo quando ha affermato che “quello che questa pandemia rivela è che ci sono beni e servizi che devono essere posti al di fuori delle leggi del mercato". Si chiede così, grazie anche ad un appoggio di 110mila firme raccolte in una settimana su change.org, una “nazionalizzazione totale e definitiva” della fabbrica e di un immediato riavvio delle attività per evitare carenze e salvare vite umane. Una proposta nemmeno presa in considerazione dal Governo. Lo scorso 2 aprile, Bruno Le Maire, il Ministro dell'economia, ha dichiarato che "né i dipendenti né le macchine sono disponibili per riprendere l'attività, che è stata interrotta dalla fine del 2019, il che rende impossibile la produzione". La realtà sembrerebbe diversa, secondo i piani proposti dai dipendenti e i loro rappresentanti. “In un momento in cui sempre più pazienti vengono spostati da una regione all'altra e trasportati dalle loro case agli ospedali, il bisogno di ossigeno sta aumentando e sta diventando irresponsabile, persino omicida, continuare a non prendere una coraggiosa decisione politica per limitare le conseguenze umane” afferma sempre Axel Peronczyk. Per il sindacalista è ora di tradurre nei fatti le parole dette da Macron che, però, sembrano essere il classico slogan vuoto. Se la politica latita e gli speculatori speculano, gli ex dipendenti sono pronti a portare le loro competenze e conoscenze per servire l'interesse generale e preservare la salute di tutti. Per il momento, l'azione dei lavoratori ha salvato la fabbrica. Ma per potere salvare il lavoro ci vuole ora un gesto forte da Parigi. |