Ossama Ben Laden, figlio della globalizzazione

di Marco Alloni dal Cairo “L’Islam mondialisé” (Paris, Seul) di Olivier Roy – uno dei massimi esperti di islamismo – è il primo libro che rompe seriamente con la scuola di pensiero culturalista, vale a dire quell’islamologia che fa risalire i fenomeni dell’islamismo ai testi “canonici” da cui deriva (Qotb, Taimyya, ecc.) e quasi mai alle ragioni storiche contingenti di cui è in gran parte il prodotto: disagi delle periferie, fallimento dell’Islam politico (si veda il caso dell’Iran, del Sudan, dell’Egitto), mondializzazione dell’economia di mercato e via dicendo. È il primo libro, cioè, che si interroga se non si debbano oggi pensare insieme islamizzazione e globalizzazione. Se non si debba insomma cercare di capire il fenomeno dell’islamismo attuale e della sua deriva terroristica come un fenomeno intrinseco alla globalizzazione e non solo come una sua reazione, così come è stato teorizzato nella semplicistica riduzione del problema a uno “scontro fra civiltà” (il famoso clash of civilisations). Olivier Roy osserva infatti che Ossama Ben Laden e il gruppo di Al Qaeda non solo non sono un prodotto estraneo alla globalizzazione ma nemmeno all’Occidente. Arriva anzi a qualificare l’organizzazione terroristica di Ben Laden e compagni come un fenomeno prodottosi proprio nel solco dell’evoluzione dei movimenti occidentali assai più che di quelli orientali. Di fatto i militanti dell’organizzazione di Al Qaeda – oltre a non provenire, se non in minima parte (i sauditi), dalle tipiche roccaforti del pensiero islamista, come per esempio l’università Al Azhar al Cairo, si sono per la maggior parte formati in Occidente, sono il frutto di un loro rapporto diretto e immediato con l’Occidente, persino di quella che si può chiamare una “occidentalizzazione mancata o frustrata” del loro percorso esistenziale. E non solo. Essi si inscrivono anche in quella scia di movimenti radicali occidentali che, sia in America che in Europa, hanno fallito nei loro obbiettivi sovversivi e si sono visti, a poco a poco, esclusi da ogni possibilità di opposizione al potere. Movimenti che sono scomparsi uno dopo l’altro nel corso degli ultimi decenni e di cui Al Qaeda ha in qualche modo raccolto l’eredità e gli obbiettivi destabilizzanti: i gruppi di estrema sinistra fautori di una contestazione radicale che si sono dissolti negli anni Settanta e Ottanta, l’Action Directe francese processata definitivamente nel 1994, la Rote Armee Fraktion tedesca che ha pronunciato il proprio “mea culpa” nel 1998. Ad essi non si è più avvicendata nessuna organizzazione sovversiva di rilievo, e gli unici che hanno ancora mantenuto e fortificato nelle periferie disagiate delle città occidentali – vero serbatoio, a detta di Roy, dell’attuale terrorismo internazionale – i loro quadri e la loro azione militante sono gli islamisti. Le periferie, divenute “musulmane” grazie alla massiccia immigrazione araba verso l’Occidente (altro fenomeno che rileva della globalizzazione del movimento islamista), hanno dunque colmato il vuoto lasciato dal fallimento di tutti i movimenti d’integrazione sociale (comprese le organizzazioni islamiste legali prossime ai Fratelli Musulmani) o di eversione politica precedenti. Le periferie si sono dunque trovate prive di referenti a cui affidare le proprie sorti. L’universo giovanile “disagiato” per eccellenza ha capito che per uscire dalla propria situazione di marginalità non poteva più confidare né nei movimenti islamisti orientati all’integrazione (come era il caso delle organizzazioni vicine ai Fratelli Musulmani) né nelle promesse portate dagli altri gruppi organizzati, che fallirono uno dopo l’altro nelle loro strategie e nei loro scopi. Non rimase – e non rimane oggi – che affidarsi a quelli che Olivier Roy definisce i “neo-fondamentalisti”. Ma chi sono costoro? Sono forse i depositari di una nuova opportunità di riscattarsi sul piano sociale, economico e esistenziale di fronte a un sistema politico e di mercato che preclude ogni opportunità di affermazione ai paria della società? No, la visione di Roy è in questo senso lucidissima: se fino a qualche anno fa i movimenti e le organizzazioni radicali portavano in seno una serie di rivendicazioni e di speranze di affermazione concrete, oggi hanno del tutto abbandonato persino lo spazio della negoziazione. La visione dei “neo-fondamentalisti” rifiuta il politico, rifiuta la presa del potere, rifiuta la lotta nazionalista contro singoli governi o stati (Ben Laden non ha mai inviato nessuno in Palestina), rifiuta l’idea stessa che la loro azione possa darsi nel terreno della costruttività. L’Islam esce dalla storia, esce dalla politica e si rivolge ormai, esclusivamente, ai singoli individui e alla loro morale. Si tratta – scrive Roy – di un nuovo rapporto, appunto globale, con la comunità dei musulmani (la umma). Si tratta di una “umma immaginaria” che non ha più alcuna relazione con il territorio ma solo con la morale. Il premio all’azione non è più nella storia, nella realtà, nella società e nella politica, ma nell’aldilà. È una lotta diventata simbolica e martirologica, una lotta in cui alla globalizzazione del neo-imperialismo americano si oppone la globalizzazione del neo-fondamentalismo, forma residua di riscatto – immaginario e morale, e nient’affatto storico e politico – contro un mondo e una struttura mondiale di potere con cui non si può più patteggiare. Per questo non esiste più un progetto islamico, ma solo reti globali di terrorismo internazionale. Perché adesso non esiste più sfida. Esiste solo l’urgenza morale, individuale ed esistenziale di guadagnare il proprio premio in Paradiso: cioè fuori dalla storia e fuori dal tempo. Ma soprattutto fuori dall’Occidente quanto dall’Oriente, entrambi – a detta dei “neo-fondamentalisti” – estranei all’Islam in egual misura. Giudicare quindi la situazione attuale come uno scontro fra Occidente e Islam è un errore. La sfida è fra chi crede in una moralità nella storia (democrazia, Islam moderato) e chi ha ormai deciso che il lavoro della storia è stato niente più e niente meno che una corruzione della perfezione delle origini: a cui si può ritornare... soltanto in cielo.

Pubblicato il

22.11.2002 04:00
Marco Alloni