Nella società dell’immagine e dell’apparenza, non sempre conta in primo luogo il valore di un prodotto o di un servizio offerti. Vale di più la rispondenza, commerciale o simbolica, che essi ottengono presso il pubblico: ciò che più è apprezzato, è considerato degno di maggiore attenzione. È da tempo che le aziende pubblicitarie e gli uffici di marketing delle varie ditte si sono accorti di tale meccanismo, e lo sfruttano pertanto a fondo. Per vendere (anche idee ed opinioni) bisogna convincere, suscitare emozioni, provocare sensazioni forti. Si tratta però, a mio avviso, di un sistema che ha del perverso e dell’illusorio, in quanto punta spesso sul futile, per non dire sull’inutile. E peggio sia per chi abbocca all’amo dell’inganno! A volte, un proposito di per sé lodevole, è usato per scopi puramente mercantili. Ne è un esempio recente il braccialetto di plastica colorata “inventato” dal famoso ciclista americano Amstrong per raccogliere denaro da destinare alla ricerca contro il cancro, diventato nel frattempo un imitatissimo oggetto da collezione a prezzo maggiorato. L’onda del successo può essere quindi rincorsa – come sovente si sente dire – a fin di bene, ma tale corsa è e resta artificiosa e menzognera, soprattutto quando avviene sul piano dei valori o dei principi etici. È una tentazione a cui cedono, talvolta, anche le chiese cristiane, gli enti umanitari, le associazioni di difesa dei diritti umani e tutti quanti promuovono la qualità dei rapporti interpersonali o sociali, ecc. È un discorso che calza benissimo pure i partiti politici e qualunque movimento di pensiero che fonda il suo agire sugli ideali. Ottenere eco positiva è un’aspirazione legittima, non dovrebbe però essere l’unico criterio d’azione. È capitato infatti più volte che la Conferenza dei vescovi svizzeri e/o la Federazione delle chiese evangeliche in Svizzera prendessero posizione su questioni sociali e politiche di rilievo, in comune o in separata sede, e venissero sconfessate dalla popolazione votante. È stato il caso della soluzione dei termini relativa all’aborto; lo è stato inoltre a proposito della politica dei rifugiati e degli stranieri, a più riprese negli ultimi anni e ancora nelle passate settimane, prima delle scellerate decisioni restrittive del Parlamento federale. Lo sarà con molte probabilità pure rispetto alla liberalizzazione del commercio domenicale e festivo, in votazione il prossimo 27 novembre. Il rifiuto quasi sicuro di determinate convinzioni, di precise norme morali o fondamenti religiosi universali giustificano la rinuncia alla mobilitazione politica? Credo di no, poiché oltre al buon esito, si dovrebbe aspirare al giusto, cioè al bene comune, a quanto aiuta davvero la collettività a crescere opponendosi a irrazionali chiusure ed irrigidimenti. Ed è per questo motivo che spero che i cristiani elvetici scendano per primi in campo, insieme alla sinistra e tanti altri cittadini a sostegno del referendum contro le misure blocheriane d’inasprimento della legge sull’asilo!

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21.10.05

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