Oltre a lavorare devo campare

Estate 2004: Andrea* viene licenziato. Insieme a lui diversi altri colleghi. Non è colpa loro: il datore di lavoro ha problemi economici e non può più permettersi così tanti impiegati. Chi ha più esperienza trova facilmente un nuovo lavoro. Per Andrea, è più difficile avendo "solo" tre anni alle spalle. Per lui inizia il balletto burocratico: iscrizione alla disoccupazione, annuncio al comune, invio delle ricerche di lavoro. Per chi come lui è alla sua prima esperienza non è affatto facile soprattutto moralmente «Io non ho mai avuto problemi: ho avuto la fortuna di trovare subito un lavoro dopo la laurea e ora mi sento trattare come fossi un delinquente. Che colpa ne ho se sono senza lavoro?» «Almeno otto ricerche al mese sennò scattano le penalità», gli dicono all'ufficio di collocamento. Poi un giorno, grazie a un'amica, Andrea scopre che in un ufficio della Città di Lugano stanno cercando personale «Prova a scrivere. Poi lì pagano bene!». Detto, fatto: scrivere non costa nulla.

Passano pochi giorni ed Andrea viene contattato per un colloquio. A dire il vero più che un colloquio è un semplice incontro per stabilire la data di inizio e le modalità di lavoro. «Per iniziare il salario sarà di circa 3mila franchi e dopo tre mesi di prova vedremo» gli viene detto anche se poi, prima di uscire si sente dire «Non mi uccida se però il Municipio mi concederà solo 2'500 franchi»… Per un attimo Andrea si fa serio ma poi pensa che in ogni caso la disoccupazione contribuirà ad arrotondare la cifra concedendogli il "guadagno intermedio" (se durante il periodo in cui una persona è iscritta alla disoccupazione trova un'attività che lo ripaga con un guadagno considerato inferiore al salario d'uso nella sua categoria, questa ha diritto a una compensazione parziale della sua perdita di guadagno. Nel caso di Andrea: in disoccupazione aveva diritto a 4500 franchi. Lavorando al comune guadagnava 2500 franchi. Teoricamente avrebbe dunque avuto diritto a 2000 franchi di compensazione, ndr)
Il primo ottobre Andrea inizia il suo nuovo lavoro. Insieme a lui, altri due "stagiare" (questo è il termine con cui è definito anche Andrea pur essendo laureato e avendo tre anni alle spalle di esperienza sul terreno). Tre stagiare in tutto. Ma i due "colleghi" sono solo di passaggio per qualche mese. Entrambi sono ancora studenti: il loro salario è leggermente inferiore (2mila franchi) ma da studente, si sa, duemila franchi sono tanti. Andrea pensa intanto a comunicare al suo collocatore di aver trovato questa opzione. Si ipotizza per lui la possibilità di beneficiare del "guadagno intermedio". Ma nel corso del primo mese di lavoro, insorgono problemi del tutto inattesi: «Il guadagno da lei intascato, per un tempo pieno, è nettamente inferiore al salario d'uso per la sua categoria, di conseguenza non possiamo concederle nessun contributo. Lei non avrebbe dovuto accettare questo impiego…» si sente dire dalla propria cassa disoccupazione. Risultato: o Andrea rimane a casa e intasca 4'500 franchi al mese beneficiando della disoccupazione cui ha diritto, oppure continua a lavorare al 100 per cento intascando 2'500 franchi. Che fare?
«Di notti in bianco ne ho passate tante ma poi ho deciso di stringere i denti per tre mesi in vista delle prospettive promessemi per dopo Natale».
Prima di ingranare con i nuovi ritmi – sveglia alle 6.30 per essere in ufficio alle 7.30 – passa un mese. Il lavoro è comunque stimolante, adeguato alle sue capacità e molto variato.
Più volte, già nel corso del mese di novembre, Andrea chiede informazioni sulle prospettive future ottenendo in cambio risposte piuttosto vaghe. Il 20 dicembre, non avendo ancora ottenuto nulla di preciso, Andrea mette alle strette il capo che si mostra sorpreso della voglia di sapere «già adesso» informazioni sul dopo vacanze «ma se proprio insisti, chiederò all'ufficio del personale che cosa possiamo fare». Il giorno seguente Andrea ottiene la risposta. «Possiamo proporti di rimanere da noi con un aumento di 500 franchi». Laureato, con esperienza e 3mila franchi lordi senza dimenticare di aver intanto perso 6mila franchi (quelli persi rinunciando alla disoccupazione per tre mesi). «Grazie tante ma ora scelgo la disoccupazione». «Certo che se non vivesse da solo spenderebbe meno e questi soldi le basterebbero... In ogni caso mi spiace molto lasciarla andare. Spero che se faremo un concorso pubblico lei partecipi» si sente dire. Fuori di sè, Andrea si rivolge al municipio per ottenere spiegazioni su questa politica di salari. La risposta? «Noi preferiamo dare a molti l'opportunità di un lavoro piuttosto che un salario maggiore dato a pochi». Da allora di concorsi pubblici per posti come quello da lui temporaneamente occupato alla città non ne ha mai visti. Sarà una svista? Dal giorno della sua partenza, invece, altri stagiare si sono avvicendati in quell'ufficio. Tra gli ultimi in ordine di tempo, il giovane disoccupato che tempo fa, sul Caffè, lanciò un appello in cui si diceva lui stesso disposto a pagare mille franchi a chiunque fosse disposto ad assumerlo… Per la cronaca in quell'ufficio ora gli stagiaire sono sei.

Solo risposte vaghe

Quello di Andrea non è un caso isolato. Proprio lo scorso lunedì, Serena* sapendo della mia intenzione di scrivere questo articolo ha deciso di raccontarmi la sua storia. Dopo una laurea in scienze sociali e una prima esperienza professionale, Serena decide di cambiare lavoro. Trova un'opportunità in una casa anziani cittadina: il lavoro è a tempo parziale ma le piace. E poi le viene promesso un aumento di percentuale dopo sei mesi di lavoro. L'aumento non arriva e così anche il suo salario di 1'700 franchi lordi e qualche briciola rimane tale. Poi un giorno, una promozione: Serena non sarà più considerata stagiare ma impiegata a tutti gli effetti. Il cambiamento è più di forma che di sostanza: 100 franchi in più nella sua busta paga. Serena ha più di trent'anni. Se non ci fosse qualcuno ad aiutarla difficilmente potrebbe avere un tetto, mangiare e offrirsi un minimo di vita sociale.
Di Andrea e di Serena ce ne sono molti altri e questo in modo più o meno massiccio un po' in tutti i dicasteri cittadini. La cifra esatta non è data conoscere anche perché il municipio, da noi sentito, insiste nel dire che gli stage (che nel 2007 saranno offerti a 116 unità e costeranno alla città 1,7 milioni di franchi, cifra in costante crescita negli ultimi anni) sono unicamente di formazione o stage professionali per neolaureati o praticanti in particolare nelle professioni sociosanitare e socioassistenziali e per gli apprendisti di commercio. Chiedendo al municipio perché anche laureati con formazione sono trattati con la stessa moneta, l'Ufficio del personale, elude ribadendo che loro offrono solo «stage formativi per apprendisti, studenti o neolaureati cui offrire un contatto con il mondo del lavoro». Eppure, si sa che esiste dell'altro. Le storie di Serena ed Andrea ce lo dimostrano. Loro sono già laureati. Loro hanno già esperienza sul campo. Loro conoscono le lingue. Sono preparati. Eppure sono stagiaire e il salario è quello degli stagiare. Con il pezzo di carta in mano hai solo diritto a qualche franco in più. E se hai la laurea quando non serve tanto peggio per te.
Non è nemmeno vero che «si tratta di opportunità in ambito formativo e non di offerte per coprire professioni di ruolo». Andrea e Serena lo provano il contrario. E guardando bene nei vari uffici ci si accorge che a portare realmente avanti alcuni progetti sono anche questi "stagiare" e non solo chi è scritto nell'organico. Inoltre il bisogno di personale, stando a chi per la città lavora, sembra effettivamente esserci: e allora perché si vedono così pochi concorsi pubblici per assunzioni regolari? Dalla città questa risposta è stata saltata a piedi pari. Sarà per risparmiare? Alla fine non è che ci sia 'sto gran quadagno: tutto questo turn-over di stagiare, infatti, è ben poco redditizio perché si investe in manodopera che resta qualche mese e poi se ne va… Non sarebbe meglio investire in modo più mirato assumendo meno persone ma meglio pagate con cui costruire un lavoro a lungo termine? Silenzio anche su questo punto. E non tiene nemmeno la tesi secondo cui dare a più persone una chance anche se meno pagati è una "politica sociale" perché solo chi ha una rete di aiuti alle spalle (famiglia, coniuge) può permettersi di accettare questi salari. E gli altri? Anche queste domande sono state poste ma senza che si ottenesse una risposta.
È noto che il mondo del lavoro è crudele e che la situazione non è delle migliori in nessuna parte del mondo. Ma non dobbiamo dimenticare che il datore di lavoro in questione non è proprio uno qualunque. È molto chiedere di costruire una scala di salari adeguata alle competenze e alle qualifiche del singolo? È molto chiedere che la parola "stage" sia usata con rigore, in modo appropriato? Quando opportuno si dovrebbe avere il coraggio di parlare, piuttosto, di contratti a durata determinata.

* nome di fantasia

Pubblicato il

27.04.2007 02:30
Fabia Bottani