Odio e violenza non sono opinioni

Può l’omofobia essere considerata un’opinione? Si può ritenere che insultare qualcuno fino ad augurargli la morte semplicemente perché prova amore per una persona dello stesso sesso debba essere legittimo invocando la libertà di espressione? Quali sono le conseguenze di un dibattito pubblico basato sull’idea che in nome della libertà di espressione si possa dire qualsiasi cosa? Una riflessione in vista del voto del 9 febbraio.

Il 9 febbraio si voterà sull’estensione della norma penale antirazzista alle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale, una modifica legislativa che era stata ampiamente sostenuta in Parlamento (121 sì e 67 no in Consiglio nazionale; 30 sì e 12 no agli Stati), ma contro la quale i giovani Udc e l’Unione democratica federale (Udf) hanno lanciato un referendum, invocando una presunta limitazione della libertà di espressione.
Il sostegno a questa estensione della norma antirazzista arriva da più fronti, anche da quei partiti che generalmente sono critici rispetto ad alcune delle rivendicazioni portate avanti dalla comunità Lgbti (matrimonio per tutti, diritto all’adozione…), ma che ritengono che il rispetto e la dignità della persona debbano essere messi (o rimessi) al centro di qualsiasi dibattito pubblico. A dimostrazione di ciò, la presenza di rappresentanti di tutti i principali partiti, escluso l’Udc, nei comitati di sostegno al sì.


Per avere il polso della situazione di quanto debbano subire ancora oggi molte persone omosessuali, basta sfogliare le notizie degli ultimi mesi in Svizzera (e i relativi commenti) e rendersi conto che anche qui le aggressioni verbali e fisiche sono una realtà. Questa è però solo la punta dell’iceberg, come ci conferma Joana Bienert, membro del coordinamento Imbarco Immediato, associazione Lgbti della Svizzera italiana: «Se da un lato c’è maggiore facilità nel vivere la propria vita senza più nascondersi, dall’altro questo rende più visibile la comunità Lgbti, una visibilità che comporta anche attacchi estremi di odio sempre più manifesti. Anche in Ticino abbiamo spesso notizia, come associazione, di persone insultate o picchiate fuori dai locali o per strada solo perché omosessuali, vicende che non vengono mediatizzate, spesso nemmeno denunciate e comunque anche quando c’è una denuncia questa è per “semplice” aggressione, non viene classificata come aggressione omofoba».


Le esternazioni di odio però non arrivano solo “dalla strada”, ma addirittura da esponenti pubblici: «Purtroppo, troppo spesso, a sdoganare e legittimare questi comportamenti aberranti sono le prese di posizione o le dichiarazioni di alcuni personaggi pubblici, esponenti politici ed estremisti religiosi – prosegue Bienert –. Mi permetto quindi di fare una correlazione logica tra l’aumento della violenza verbale e fisica che la comunità Lgbti sta subendo, e l’uso inadeguato delle parole, parole indelebili che in un discorso pubblico non possono in alcun modo essere tollerate e che andrebbero adeguatamente punite anche dalla legge».


Per le associazioni che difendono i diritti della comunità Lgbti, le argomentazioni dei contrari sono scioccanti: «L’odio non è un’opinione e voler proteggere la dignità umana non mette in alcun modo in pericolo la libertà d’espressione», commenta a tal proposito Aymeric Dallinge, responsabile per la campagna romanda di “Combatti l’odio, vota sì”. Per i sostenitori del sì, le leggi attuali che proteggono le vittime di aggressioni fisiche non sono sufficienti, ma occorre contrastare alla radice i discorsi di incitazione alla violenza: «È questo odio che fa sì che un padre uccida il proprio figlio perché gay o che due ragazze vengano massacrate di botte in strada perché si tengono per mano», aggiunge Muriel Waeger, direttrice romanda di Pink Cross e dell’Organizzazione svizzera delle lesbiche.


Dove si trova il confine tra libertà di espressione e superamento del limite? La Costituzione svizzera dice sì che ognuno ha il diritto di formarsi liberamente la propria opinione, di esprimerla e di diffonderla senza impedimenti (art. 16 cpv. 2 Cost.), ma dice anche che la dignità della persona va rispettata e protetta (art. 7 Cost.). Da alcuni anni questa libertà viene invece presa a pretesto per giustificare discorsi di odio verso gruppi minoritari, un valore viepiù rivendicato dalla destra e dall’estrema destra e brandito contro la richiesta delle minoranze di ottenere uguaglianza e di essere pubblicamente riconosciute. Ma cosa sono i discorsi d’odio? Sono quei discorsi che attaccano intenzionalmente una persona o un gruppo di persone a causa dell’appartenenza etnica, di genere, di una disabilità, dell’orientamento sessuale, della religione… Così facendo, poco per volta l’odio cresce fino ad esplodere.


Secondo Françoise Tulkens, già giudice e vicepresidente della Corte europea dei diritti dell’Uomo (Cedu), intervistata da Tangram (il bollettino della Commissione federale contro il razzismo, settembre 2019), nei Paesi europei i discorsi di odio sono diventati un grosso problema sociale e politico e sono pericolosi per la democrazia «perché disprezzano la diversità e l’alterità. Democrazia significa accettare che ognuno abbia una propria opinione e che possa esprimerla. La libertà di espressione favorisce il dibattito, mentre i discorsi d’odio lo restringono e lo soffocano». A suo modo di vedere, la libertà di espressione è quella che permette tutte le altre, ma non è un diritto assoluto: «Possiamo porle limiti precisi e ben definiti per preservare la coesione sociale. Quando un discorso d’odio consiste in parole orientate all’azione e istiga direttamente alla violenza, all’omicidio o alla rappresaglia non si può più parlare di libertà d’espressione».

Pubblicato il

16.01.2020 10:40
Veronica Galster