Reinserimento professionale

”Il nostro Cantone è attivo nel ricollocamento professionale di assicurati Ai. Nel 2017 sono stati 942 i lavoratori che sono rimasti attivi o hanno trovato nuove mansioni” recita un comunicato stampa. «Risultato buono, ma per certi versi anche operazione di marketing per veicolare il messaggio ingannevole, che rientrare nel mercato del lavoro è possibile e facile, quando invece non è affatto così. È anche un modo per preparare il terreno e legittimare ulteriori inasprimenti» replica Bruno Cereghetti.

 

«Nel corso del 2017 è stato possibile ricollocare sul mercato del lavoro primario elvetico più di 20.000 persone affette da problemi di salute, doppiando così il risultato dell’anno precedente. In Ticino, come accaduto negli ultimi anni, circa mille lavoratori hanno potuto essere reintegrati professionalmente».
Quel doppiare rimanda per un gioco di parola a dopare: non siamo così maliziosi da pensarlo, ma siamo consapevoli che quei numeri occorra leggerli e interpretarli attentamente. Li leggiamo con Sergio Montorfani, nuovo direttore dello Ias, l’Istituto delle assicurazioni sociali e Monica Maestri, capo dell’Ufficio dell’Assicurazione invalidità (vedi articolo sotto) che difendono la validità dell’operazione («sono i numeri a parlare, non interpretiamo in maniera sbagliata le statistiche») e con l’esperto di politica sanitaria Bruno Cereghetti, che è decisamente più critico.


Cereghetti, responsabile fino al 2010 dell’Ufficio dell’assicurazione malattia del Canton Ticino, oggi è titolare di uno studio a Locarno di consulenze e rappresentanze in procedimenti legali, amministrativi o riguardanti aspetti pratici nel settore delle assicurazioni sociali. Si occupa anche di difendere e tutelare i diritti dei cittadini in caso di controversie con l’Assicurazione invalidità (Ai). E le controversie sono all’ordine del giorno: lo sa bene Cereghetti e anche il servizio giuridico di Unia, al quale si rivolgono numerosi affiliati del sindacato, che in seguito a infortunio o malattia hanno dapprima perso il lavoro e poi devono combattere per vedersi riconoscere il diritto alla rendita.


«Data la situazione misurabile nella realtà, senza mezzi termini ritengo che l’Ai così come è impostata oggi abbia fatto il suo tempo. la fine dell’assicurazione invalidità. Che si abbia quindi il coraggio politico di voltar pagina e di mantenerla solo per i grandi invalidi. Perché di fatto è già quanto avviene oggi. L’Ai ha attuato un sistema che nega di fatto la rendita a molti assicurati con problemi di salute seri e importanti. Per far quadrare i conti, attraverso perizie mediche unilaterali, non si riconosce il diritto a una rendita in quanto gli assicurati vengono spessissimo definiti “abili a lavorare in attività adeguate”. Un’assurdità rispetto al mondo del lavoro reale: queste persone, per un motivo di mancata resa, non riescono ad accedere al mercato del lavoro. I fatti reali lo dimostrano. E nemmeno l’Ai riesce a fare qualcosa per queste persone. Anzi, non tenta nemmeno. E i rigettati dall’Ai, o gli espulsi in sede di revisione del caso, finiscono in assistenza. Si verifica pertanto un gioco di scaricabarile fra assicurazioni sociali fatto sulla pelle delle persone che non è accettabile. È necessario trovare una nuova formula: le persone che per sfortunate circostanze di salute non riescono ad accedere nonostante gli sforzi al mercato del lavoro, dovrebbero essere aiutate attraverso un servizio completamente ristrutturato rispetto all’assistenza sociale di oggi. Personalmente sono contrario a un reddito di cittadinanza generalizzato a tutti come principio assoluto, ma molto favorevole a un reddito di cittadinanza confinato a quella fascia di popolazione confrontata con un reale problema. Sarebbe un modo per preservare la dignità dei beneficiari, sottraendoli alle maglie dell’assistenza sociale anche per gli effetti devastanti sull’autostima. Occorre che si affronti la questione sul piano nazionale con approcci più trasparenti, realistici e soprattutto socialmente efficaci su larga scala. Meno marketing per nascondere i problemi, meno isterismi nella caccia alle streghe moderne (i cosiddetti falsi invalidi) e più propositività verso forme di reddito sociale innovative» commenta Cereghetti.


Lei parla di azioni assimilabili a marketing, eppure dal comunicato stampa “Assicurazione invalidità e ricollocamenti nel mercato del lavoro” sembrerebbe che in Ticino la politica di reinserimento professionale dia risultati... Come accoglie i dati pubblicati dall’Ufficio assicurazione invalidità?
Saluto con piacere ogni reinserimento professionale, e ci mancherebbe! Ma occorre essere chiari: qui si tratta di collocamenti facili. Nessuno di questi casi beneficiava di rendita. Né l’avrebbe mai ricevuta. Casi che hanno avuto sì qualche difficoltà, ma non certo da sfociare in una rendita di invalidità. Sono quei casi che prima dell’introduzione del rilevamento tempestivo non si sarebbero mai rivolti all’Ai. Io dico che la sfida vera sarebbe ricollocare i casi più disperati: le persone che dai periti Ai sono esclusi con freddezza dalla rendita, nonostante i danni alla salute e ritenuti “abili al lavoro in attività adeguate”. Questi collocamenti meriterebbero, sì, a giusto titolo un’eco stampa formidabile.


In poche parole, ci sta dicendo che vorrebbe vedere dimostrato con i fatti il reinserimento dei casi più difficili...
L’Ai definisce le persone abili all’attività sulla base di un mercato del lavoro equilibrato, ma si tratta – come afferma il Tribunale federale – di un concetto teorico e fittizio. Io dico di più: non solo fittizio, ma pure ingannevole. Non è un mercato equilibrato che può integrare queste persone, ma dovrebbe essere addirittura un mercato sociale, nel quale la persona con invalidità ha diritto di priorità all’assunzione. Mercato che non esiste perché dall’altra parte c’è sempre un datore di lavoro, il quale pretende una resa. L’esempio più prossimo di mercato equilibrato del lavoro è rappresentato dallo Stato, che non subisce una pressione esacerbata esterna dal mondo economico: ma mi sembra che nemmeno lo Stato abbondi nell’assunzione di persone con manifeste invalidità tali da compromettere una resa professionale ordinaria. La dicotomia è la seguente: abbiamo persone considerate abili dall’Ai partendo da un concetto fittizio di mercato, che in concreto sono invece difficilmente reintegrabili, o non lo sono del tutto, nel mondo reale del lavoro perché non ce la fanno a sostenere ritmi e pretese ordinari. Queste persone devono essere aiutate in un altro modo. Per questi motivi, difendo la rendita di invalidità come elemento che riconosce l’impedimento al lavoro, ma soprattutto evita di proiettare persone e famiglie in assistenza. Non mi diffondo in teorie astratte: era infatti, questo, uno dei pilastri portanti della politica sociale degli anni Ottanta.


Lo dice la legge: il diritto alla rendita è dato solo se lo stato di salute della persona assicurata esclude ogni possibilità di reinserimento. Le ultime revisioni dell’Ai hanno riaffermato con forza la centralità dell’etica del lavoro...
Tutti d’accordo nel promuovere l’etica e la centralità del lavoro. Mi ripeto: e ci mancherebbe! Un principio che va sostenuto laddove è possibile, non quando diventa finzione. Bisogna però realisticamente rendersi conto che ci sono dei limiti anche all’inserimento, e qui deve subentrare lo stato sociale e non lo stato assistenziale. Purtroppo la realtà di oggi è che un fattore invalidante può diventare causa di povertà. E questo non è ammissibile.


Quella che lei assimila a un’azione di marketing, secondo lei quali obiettivi insegue?
A me dà fastidio, e non mi nascondo dietro alle parole, qualsiasi azione finalizzata a far intendere che il ricollocamento professionale è di principio possibile e anche assai facile. Così come quelle che portano a ingigantire il fenomeno dei falsi invalidi; fenomeno che esiste ed è già arginato efficacemente con i mezzi odierni senza necessitare di isterismi legali da 007. E questo per giustificare i giri di vite sulle rendite e favorire ancora di più l’inasprimento della legge. Dietro l’angolo ci sono infatti allo studio ulteriori provvedimenti duri per andare a toccare le rendite dell’Ai con manovre risparmistiche. E questo è socialmente, ma anche eticamente, preoccupante.


Che cosa proporrebbe per il futuro?
Oggi sia l’Ai che l’assistenza cercano di reintrodurre nel mondo del lavoro le persone che ne hanno le possibilità, attraverso sistemi diversi e apparati amministrativi costosi. Bisognerebbe superare questa dicotomia che genera costi amministrativi superflui e razionalizzare gli sforzi. In ultima analisi superare Ai e assistenza. Da un lato dovrebbe restare un’assicurazione sociale per grandi invalidi e dall’altra un’assicurazione sociale di cittadinanza, che assicuri un reddito a chi non riesce a entrare, o rientrare, nel mondo reale del lavoro. In altre parole, è necessario uno sforzo di realtà e non di immaginazione di risultati fantasiosi a partire da costruzioni teoriche e da visioni da sogno belle sulla carta, ma bolle di sapone nei fatti. Perché questo appartiene solo al mondo delle favole, ma non alla politica sociale.

 

 

 

Le considerazioni di Sergio Montorfani (Ias)

Sono soddisfatti Sergio Montorfani e Monica Maestri del risultato 2017 relativo a un reinserimento professionale «reso possibile anche grazie alla rete costruita con oltre tremila aziende sul territorio».

Quanti di questi 942 lavoratori integrati professionalmente rientravano nel gruppo legato al rilevamento tempestivo?
Il rilevamento tempestivo è stato pensato per permettere all’Assicurazione invalidità di intervenire il prima possibile per valutare se senza provvedimenti adeguati vi sia un rischio di invalidità e, in caso affermativo, invitare l’assicurato a depositare una domanda di prestazioni Ai. Non si tratta pertanto di una domanda di prestazioni, ma di una segnalazione che può essere presentata dall’assicurato, ma pure dai datori di lavoro, dal medico curante e dalle assicurazioni che versano indennità giornaliere. Per rispondere alla domanda, per il 21% degli assicurati collocati è stata depositata una comunicazione di rilevamento tempestivo. L’intervento tempestivo e le relative misure sono invece applicati dopo il deposito di una domanda ufficiale e hanno lo scopo di permettere agli assicurati che presentano un’incapacità al lavoro totale o parziale di mantenere il posto di lavoro attuale o di trovarne uno nuovo presso la medesima o un’altra azienda. Per l’80% degli assicurati reinseriti è stata aperta almeno una procedura di intervento tempestivo.


Quanti di questi 942 lavoratori sono stati assunti da aziende che  hanno beneficiato del sostegno finanziario statale?
Qualora si riesca a trovare un posto di lavoro grazie all’aiuto al collocamento dell’Ufficio assicurazione invalidità (Uai), ma le capacità effettive dell’assicurato a svolgere la nuova attività inizialmente non corrispondano ancora al salario convenuto con il datore, vi è la possibilità di venire incontro all’azienda tramite il versamento di un assegno per il periodo di introduzione per un massimo di 180 giorni. Tale assegno è versato al datore di lavoro a patto che questi, a sua volta, versi il salario al nuovo dipendente. L’importo corrisponde al massimo a quello dell’indennità giornaliera dell’assicurato e non può superare lo stipendio pattuito. L’incentivo è corrisposto una volta sottoscritto un contratto lavorativo a tempo indeterminato. Nel corso del 2017 sono stati erogati 63 incentivi per datori di lavoro, corrispondenti al 7% degli assicurati collocati.


A quanto ammonta l’aiuto finanziario che le ditte ricevono per l’integrazione professionale di persone con limiti di salute?
Nel corso del 2017 sono stati versati circa 720mila franchi. Si tiene nuovamente a precisare che l’importo non dipende da una pretesa del datore di lavoro, ma dagli stessi criteri applicati per calcolare le indennità giornaliere in favore degli assicurati.


Esistono indagini qualitative su questi reinserimenti? In che percentuale ai lavoratori viene riconfermato nel tempo il posto di lavoro anche dopo che il diritto al sussidio cade per le aziende?
Il reinserimento è seguito in prima persona dal consulente Ai, che visita i datori di lavoro, svolge colloqui con gli assicurati, coinvolge, se necessario, il medico dell’Uai e il medico curante. L’azienda, come detto, può beneficiare degli incentivi solo dopo che è stato sottoscritto un contratto lavorativo a tempo indeterminato e quindi dopo la conferma di assunzione da parte dell’impresa. Al termine della misura reintegrativa, il consulente rimane a disposizione dell’assicurato e del datore di lavoro e interviene, su loro sollecitazione, se vi dovessero essere problemi. Questi casi sono molto rari. Per la maggior parte dei datori con cui collaboriamo, la priorità resta il mantenimento nelll’azienda della persona con le sue competenze, nonostante il danno alla salute.


È chiaro che in un mercato del lavoro critico non è evidente il reinserimento per alcune tipologie di lavoratori con danni alla salute: persone con bassa formazione, di una certa età, con disturbi psichiatrici. Siete in grado di garantire pure alle tipologie più complesse di poter davvero “lavorare secondo modalità adeguate”?
Non è possibile generalizzare perché ogni caso ha le sue specificità. È importante comprendere che l’Assicurazione invalidità può intervenire presso i datori di lavoro quando il contratto di lavoro è ancora in vigore. In questo senso crediamo fermamente nell’efficacia delle misure di intervento tempestivo, nel coinvolgere il prima possibile l’assicurato, il suo medico curante e il datore di lavoro per trovare quelle soluzioni (come formazioni supplementari, mezzi ausiliari, accompagnamento, adattamento del posto di lavoro ecc.) che permettano il rientro sul posto di lavoro, eventualmente in una nuova funzione. Inoltre il continuo contatto con le aziende – citiamo l’esempio della manifestazione Agiamo Insieme che l’Uai  del Canton Ticino organizza con la Camera di Commercio – facilita questo compito e permette di mantenere un’elevata attenzione nei confronti dei collocamenti di nostri assicurati. Grazie all’approccio interdisciplinare, i casi sono analizzati e gestiti dal consulente in integrazione con la stretta collaborazione del Servizio medico dell’Uai; essi esaminano la situazione della persona con lo scopo di trovare attività lavorative adeguate allo stato di salute dell’assicurato e alle sue potenzialità. Le misure di integrazione devono rispondere a criteri di efficacia ed economicità e quindi si analizza a monte l’opportunità o meno di erogare determinate misure.

Pubblicato il 

30.05.18
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