Crisi dell'informazione

Il primo a lasciare la nave ammiraglia (Repubblica) è Enrico Deaglio. Passa appena una decina di giorni e un’altra firma, eccellente, si chiama fuori: Gad Lerner. Ma prima di loro un altro nome importante del giornalismo italiano aveva dato forfait, non dalla nave ammiraglia ma da un’imbarcazione di prestigio della flotta ex Gedi e ora Exor: Lucia Annunziata ha lasciato la direzione di Huffington Post dopo il cambio dell’armatore. Chiarezza e sobrietà le ragioni dell’addio di Lerner: «Mi ero imposto di aspettare, di non fare scelte affrettate benché suonasse forte e chiaro il messaggio contenuto nel licenziamento senza preavviso di Carlo Verdelli. A parte quel gesto, la nuova proprietà ha ritenuto di esporre solo per vaghi accenni il progetto industriale e giornalistico intrapreso. Ma nel frattempo, in poche settimane, Repubblica è già cambiata, non la riconosco più». Voci dal sen fuggite sostengono che anche Federico Rampini starebbe per sbattere la porta in faccia al nuovo direttore Maurizio Molinari. E non sarebbe l’unico.

 

Le novità nell’informazione italiana sono tali da ribaltare il quadro delineato a metà degli anni Settanta e rimasto immutato finché i figli di Carlo De Benedetti, contro la volontà del padre, hanno deciso di vendere l’impero di carta stampata (che comprende anche L’Espresso e i giornali regionali e provinciali di mezza Italia) alla Famiglia Agnelli, proprietaria della holding Exor. Testate a cui si sommano quelle già in mano all’ultima generazione Fiat guidata da John Elkann: La Stampa (solo recentemente era passata da Fiat a Gedi) e il Secolo XIX di Genova. Ora Carlo De Benedetti ha annunciato la nascita di un nuovo giornale in opposizione alla flotta Agnelli che si chiamerà Domani, poco cartaceo e molto online, direttore Stefano Feltri e presidente del Cda il senatore Pd Luigi Zanda. Peccato che Scalfari abbia benedetto nuova proprietà e nuovo direttore di Repubblica ed Ezio Mauro non abbia proferito verbo. Almeno finora.

 

Il quadro dato alle fiamme è quello che ha informato la storia del capitalismo italiano dal dopoguerra, caratterizzato da due modelli industriali e politico-culturali. Da un lato Fiat, guidata da princìpi monarchici autoritari, dove conta la fedeltà ossequiente più del valore dei dipendenti, dall’altro Olivetti, un’utopia produttiva e sociale con forti radici nel territorio, anzi nella “Comunità”, prendendo in prestito il nome della casa editrice voluta da Camillo e Adriano. Due modi opposti di concepire le relazioni umane, sociali, sindacali e politiche. Dalle ceneri della Olivetti, caduta in disgrazia (o, secondo analisti spietati, in mani disgraziate) è nata una costellazione di aziende nell’informatica, nelle telecomunicazioni e, con Carlo De Benedetti, nella finanza e nell’editoria con la fondazione di Repubblica targata Eugenio Scalfari. Accanto alla Stampa (che gli operai torinesi chiamavano “la busiarda”) interessata quasi esclusivamente agli interessi del padrone, arrivava dunque un giornale più libero (ma pur sempre ligio alla proprietà), progressista, aperto ai mutamenti. Adesso tutto è finito in mano a quelli che anonimamente molti giornalisti di Repubblica chiamano “i battilastra”. Anche se di lastre per fare automobili in Italia se ne battono sempre meno e la famiglia Agnelli punta sulla finanza e raccoglie il massimo degli utili dalla PartnerRe, società di riassicurazione che Elkann stava per vendere per 9 miliardi ai francesi di Covéa.

 

La nuova corazzata guidata da Maurizio Molinari è iperatlantica, filoamericana e filoisraeliana (interviste o comunque grande attenzione a Pompeo, Netanyahu e al segretario della Nato Stoltenberg), i suoi nemici sono Cina e Russia, è chiaro fin dal giorno del cambiamento avvenuto in forma volgare, senza preavviso, senza motivazioni da parte della proprietà (“Sono entrati nel salotto buono con le dita nel naso”, dicono i soliti anonimi giornalisti venduti al nuovo padrone). È più antigovernativa, prefigura un esecutivo centrista. Meno attenta al politically correct, ha titolato un articolo sul confronto interno alle donne dopo la liberazione di Silvia Romano “Lite tra femministe sul velo verde”. Trattate alla stregua di galline starnazzanti. E il nuovo direttore di Huffington Post, Mattia Feltri degno figlio di tanto padre Vittorio, ha scritto nel suo primo editoriale che la Costituzione italiana non è solo antifascista ma anche anticomunista, perciò il 25 Aprile deve cambiare natura.

 

Repubblica è antigovernativa, scatenata contro il M5S, ma a giorni e obiettivi alterni. La Fiat ha appena chiesto le garanzie del governo su un prestito di ben 6,3 miliardi di euro, peccato che si tratti della stessa azienda in procinto di fondersi con i francesi di Psa, azienda che ha la partecipazione dello stato francese, e che soprattutto ha trasferito sede legale e fiscale rispettivamente nel paradiso olandese e a Londra per risparmiare su tasse e utili; ma i soldi per reggere agli effetti catastrofici del Covid-19 li vuole da Roma. Qualcuno ha evocato il gatto di Trilussa: “Fo er socialista quanno sto a diggiuno ma quanno magno so’ conservatore”. E che fa Molinari? Pagine a difesa della richiesta Fiat e, soprattutto, rifiuta di pubblicare un comunicato del comitato di redazione che denuncia educatamente la subalternità del nuovo corso a John Elkann. Ora tutti si indignano con la Fiat – che usa i lavoratori e la crisi come alibi – anche chi al momento della sua fuga in Olanda difendeva liberismo e diritti dell’impresa. Editori puri in Italia sono praticamente inesistenti, più editore che puro è Urbano Cairo che detiene Corriere della sera e La 7, pochissime le eccezioni. Per completezza di informazione va detto che la carta stampata è in caduta libera, il foglio più venduto è il Corriere con 130mila copie seguito da Repubblica con 110mila, e i giornali online continuano a non decollare. 

Pubblicato il 

22.05.20

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