Nuovo Piano direttore, ricette da tradurre in pratica

Il 31 maggio scade il termine per presentare al Consiglio di Stato le osservazioni sul progetto di nuovo Piano direttore. Lo possono fare comuni, associazioni, singoli cittadini, dopo aver consultato l’opuscolo distribuito nel mese di febbraio in tutto il Cantone dal Dipartimento del territorio. Quella pubblicazione è molto interessante e specialmente nella parte introduttiva sull’evoluzione del territorio e sugli scenari futuri dimostra che gli autori possiedono una buona capacità d’analisi e aggiornati strumenti di ricerca in materia. Solo un esempio, a pag. 16: «Il rischio (del Ticino) è anche di diventare una doppia periferia di Zurigo e di Milano, riuscendo unicamente a conservare alcune componenti e funzioni urbane come quella della residenza (effetto nice place) di supporto ai due centri maggiori…». Oppure, a pag. 12: «Sul piano demografico entro il 2020 il Ticino vedrà verosimilmente la sua popolazione crescere da circa 316 mila a 340-350 mila abitanti, con il contributo essenziale del saldo migratorio; sarà inoltre confrontato …con un incremento del numero di abitazioni paragonabile a quello registrato negli scorsi anni (circa 2’100 all’anno)» e «sul piano finanziario si prospetta la riduzione delle capacità operative di buona parte degli enti pubblici» mentre «sul piano economico si profila un incremento della competizione regionale (soprattutto nel settore dei servizi) e del fabbisogno di aree per attività legate alla distribuzione, al commercio e allo svago» (vedi grandi centri commerciali, logistica, parchi di divertimento, ecc.). Una prima domanda che sorge spontanea è questa: ma tutti i sindaci e i municipali e i consiglieri comunali dei circa 200 comuni ticinesi hanno letto almeno queste pagine? E ne trarranno qualche conclusione? O continueranno allegramente a pensare coi loro piani regolatori che la costruzione senza fine di casette unifamiliari sia un gran bene (i contribuenti!) e che tale sia anche l’arrivo di nuovi centri commerciali, o di migliaia di metri cubi banalizzati di capannoni e di uffici, e di posteggi (coperti e scoperti) e di strade d’accesso, eccetera, eccetera? E si pone subito anche un’altra domanda. I tecnici ed i ricercatori che studiano il nuovo Piano direttore lavorano bene. Ma lavoreranno altrettanto bene i politici, gli imprenditori e i professionisti che operano sul territorio? Per essere più preciso: come agiranno il Consiglio di Stato, i granconsiglieri, molti architetti (che storcono il naso appena sentono parlare di pianificazione e di limiti), molti ingegneri (che calcolano e basta) e i grandi operatori commerciali e immobiliari (che… poi ci pensiamo noi)? E cosa pensa quello che una volta si usava chiamare il popolo, che si incontra generalmente tra le scaffalature dei supermercati, o all’automatico degli autosili o in pizzeria? Quello non sa neanche dell’esistenza di un Piano direttore. Ha altre legittime preoccupazioni: la paga, la cassa malati, l’auto da portare al collaudo, la nonna da sistemare in una casa per anziani. La situazione è indubbiamente difficile. Però se le buone premesse contenute nel fascicolo sul Piano direttore dovranno trovare una ricaduta concreta sul paese occorrerà pur stabilire dei canali tra il palazzo e la gente (oggi si dice così). Bisognerà che i tecnici e le strutture politiche e sociali locali riescano a parlarsi con un linguaggio chiaro e comprensibile. Trent’anni fa c’erano in Cina dei “médecins aux pieds nus”, medici a piedi nudi che giravano il paese per curare i mali correnti della gente. È troppo sperare che nuovi tecnici del Piano direttore aux pieds nus sappiano parlare una sera, senza annoiarli, ai consigli comunali di Osogna o di Sonvico o di Novazzano, tanto per fare dei nomi di paese a caso?

Pubblicato il

20.05.2005 13:30
Tita Carloni