Nuove pressioni sul 2o pilastro

Non c’è proprio pace per i tre pilastri delle assicurazioni sociali degli svizzeri. Dopo aver abbassato il tasso di interesse sugli averi pensionistici dei lavoratori dal 4 per cento del 2002 al 2,5 per cento del 2005 e aver ridotto anche l’aliquota di conversione minima del capitale in rendite dal 7,2 al 6,8 percento, ora il Consiglio federale è tornato nuovamente all’attacco. È infatti in fase di consultazione un progetto che vuole ridurre ulteriormente le rendite del 2° pilastro attraverso una nuova diminuzione del tasso di conversione, scendendo questa volta al 6,4 per cento entro 5 anni. Il motivo? Visto che il capitale non rende più come prima si devono ridurre anche le rendite. «Una mossa prematura basata – non so se volutamente – su un rapporto che tiene conto della salute delle casse pensioni solo fino a fine 2003, solo che nel frattempo le cose sono cambiate», ci ha detto nell’intervista che segue l’esperto indipendente di casse pensioni Dario Giudici. Dario Giudici, il Consiglio federale vuole abbassare nuovamente il tasso di conversione degli averi del secondo pilastro. L’intenzione è di scendere al 6,4 per cento. Il motivo addotto è che il rendimento del capitale è troppo basso. È così? No, non sono d’accordo. Il rapporto sul quale si è basato il Consiglio federale (Cf) per fare questa nuova proposta è datato novembre 2004 ed è stato redatto dalla Commissione federale della previdenza professionale. Quel rapporto tiene però conto della situazione delle casse pensioni solo fino al 2003, cioè quando gli istituti di previdenza cominciavano a tirare su la testa dopo gli anni neri dei buchi borsistici del 2001 e 2002. I risultati 2004 e 2005 (che sono invece positivi, vedi articolo sotto, ndr) sono stati – non so dire se volutamente – ignorati. Quindi la decisione è stata presa su dati che non rispecchiano la reale situazione finanziaria delle casse pensioni? Esatto. Dopo la prima revisione della Legge sulla previdenza professionale (Lpp) entrata in vigore il primo gennaio del 2005 che porterà il tasso di conversione dal 7,2 per cento al 6,8 per cento entro il 2011, ora il Cf ha espresso la volontà di ridurre ulteriormente il tasso portandolo al 6,4 per cento. Le motivazioni addotte per questa scelta sono interessanti. Il Cf ha detto che la prima modifica della legge approvata dalle Camere federali nel 3 ottobre 2003 – con entrata in vigore il 1° gennaio 2005 – teneva conto della riduzione dell’aliquota di conversione del capitale in rendite solo per quanto riguarda l’aumentata speranza di vita. Visto che si vive più a lungo le rendite mensili dovranno essere minori per non esaurire il capitale accumulato. La nuova rivisitazione verso il basso del tasso di conversione ha invece un’altra ragione. Ci dicono che il 6,4 per cento si giustifica se si tiene conto del problema della remunerazione del capitale: i tassi di interesse – ad esempio quelli delle obbligazioni della Confederazione che sono ora al 2,5 per cento – sono diminuiti, mentre per 14 anni abbiamo avuto un rendimento del 4 per cento. Il ragionamento è quindi basato sul fatto che dato che il capitale del 2° pilastro dà meno frutti di prima – e questo anche perché si è deciso di abbassare il tasso di remunerazione – la conseguenza da trarre è che le rendite non possono restare al livello precedente. L’errore di questo ragionamento è che ci si basa sull’onda dei dati negativi dovuti agli sconsiderati investimenti fatti da alcune casse pensioni nel 2001 e nel 2002. L’analisi dei rendimenti non si fa però sull’andamento di un biennio. Su un periodo di due decenni abbiamo avuto 2 anni negativi. Non si può ora proporre di fare cambiamenti così radicali – perché l’effetto sarà una diminuzione reale delle pensioni (vedi tabella sotto) – in base ad un rapporto ormai obsoleto. Perché allora questo nuovo attacco alle pensioni? È una domanda da rivolgere ai diretti interessati, cioè ai politici e alle lobby assicurative. Io sono un tecnico. E da un punto di vista tecnico direi che questa decisione è prematura. Dopo solo 9 mesi dall’entrata in vigore della prima revisione della Lpp si vuole già fare un’ulteriore modifica. Non si sono ancora visti gli effetti sulle assicurazioni sociali di un tasso di conversione ridotto che si vuole nuovamente mettere mano a un meccanismo costruito a fatica. Intervenire adesso non lo trovo per nulla logico. Almeno si sarebbe dovuto aspettare le chiusure delle casse pensioni del 2004, 2005 e quelle di quest’anno. Quindi non è vero che lo stato di salute delle casse pensioni giustifica questa nuova riduzione delle prestazioni. No, le casse pensioni non stanno così male come si vuol far credere. È vero che ci sono istituti che nel biennio 2001-2002 hanno perso fino ad un quarto del loro capitale ma questo è perché sono state mal gestite, non perché il sistema è malato. Sono dell’opinione che l’auto è buona, ma che troppo spesso gli autisti non sono stati all’altezza. Per molte casse pensioni il 2003 è stato l’anno in cui c’è stato l’assestamento dopo il crash. Nel 2004 poi si è ricominciato a stare a galla e l’anno scorso parecchi hanno ricominciato a fare riserve. I mercati borsistici vanno decisamente meglio. La salute delle casse pensioni non si gioca sul tasso di conversione. I lavoratori sono preoccupati per questi continui mutamenti nelle regole fissate per la previdenza professionale. Cosa bisogna aspettarsi per il futuro? Posso capire le preoccupazioni delle migliaia di affiliati. Questo è un momento di grande insicurezza. Da un lato ci sono continue allusioni all’aumento dell’età lavorativa e dall’altro la riduzione delle prestazioni una volta in pensione. Ormai uno non sa cosa aspettarsi. E gli effetti di questo disorientamento sono pericolosi. Perché se uno ha paura che cambieranno le regole che trasformano il suo capitale in rendite cosa farà? Ritirerà il suo 2° pilastro. E non è fantascienza la mia, ma un fenomeno che sta sempre più prendendo piede. Una volta ritirato il capitale il pensionato si troverà però in prima persona a dover amministrare immaginiamo una somma di 300 mila franchi. Solo che lui non è un professionista degli investimenti. E se gestisce male quei soldi? Se finisce come con la Parmalat e la Swissair cosa succederà a questi anziani? Il numero delle persone che vogliono tutto il capitale al posto delle rendite continua ad aumentare. Lo ritengo un fenomeno preoccupante. Se poi tutti tolgono i soldi anche la cassa pensione non potrà fare gli investimenti necessari e il sistema comincerà a traballare. Per gli assicuratori privati è invece un buon affare, si liberano dell’affiliato e non hanno più impegni nei suoi confronti, o verso la vedova o magari il figlio che ha un handicap. Ci si è dimenticati del senso stretto di quel “sociale” che segue la parola assicurazione. Toccare un meccanismo costruito in tanti anni basandosi su un solo biennio negativo è davvero destabilizzante. Nel rapporto del 2003 si parlava poi di bassi tassi di interesse, ma già ora nel 2006 vediamo che si stanno alzando. Dopo un ventennio in cui non ci sono state modifiche della Legge sulla previdenza professionale ne abbiamo avuta una nel 2005. È davvero il caso di intervenire ancora una volta? Ho l’impressione che ci sono di mezzo obiettivi politici di basso profilo. Sembra quasi che qualcuno debba vincere su un altro, invece si tratta di un bene comune che dovremmo curare. La pensione è un bene importante per tutti. Addirittura le lobby assicurative vogliono scendere al 5 per cento per quanto riguarda il pubblico mentre nel privato sono già passati al 5,8 per cento di tasso di conversione con il famoso “modello Winterthur”. Dove si vuole andare a parare a me sembra evidente. Casse pensioni, un 2005 da leoni Nello stringato comunicato stampa con il quale il Consiglio federale (Cf) ha informato dell’avvio della fase di consultazione del progetto di legge che vuole abbassare ulteriormente il tasso di conversione sul capitale pensionistico si legge: «il provvedimento si è reso necessario a causa del peggioramento delle prospettive di rendimento a lungo termine sui mercati finanziari». E poco dopo: «per la determinazione dell’aliquota di conversione vi sono due parametri fondamentali: la speranza di vita e le prospettive di rendimento. Nella 1a revisione della Legge sulla previdenza professionale si è tenuto conto dell’aumento della speranza di vita, ma non del fatto che nel frattempo le prospettive di rendimento sui mercati finanziari sono peggiorate, in particolare sul mercato obbligazionario. L’attuale aliquota minima di conversione è dunque troppo alta». I motivi delle scelte di governo sembrano quindi ragionevoli: il cattivo andamento dei mercati finanziari non assicura più un rendimento tale degli averi in secondo pilastro dei lavoratori che permetterà in seguito di elargire quel 6,8 per cento di conversione del capitale in rendita. Si deve quindi scendere al 6,4 entro il 2011, conclude il Cf. Ma stanno davvero così le cose? L’esperto di casse pensioni Dario Giudici nell’intervista sopra spiega che il rapporto sul quale si è basato il Cf è datato novembre 2004, cioè quando si conosceva lo stato di salute delle casse pensioni solo fino al 31 dicembre 2003. A fine 2003 gli istituti di previdenza cominciavano appena a rialzare la testa dopo che alcuni di loro avevano fatto esperienze scottanti in borsa nel biennio precedente. Esperienze maturate dopo che nel marzo del 2000 il Cf aveva dato il via libera all’investimento in borsa degli averi pensionistici. Ma dopo un 2000 da leoni nei 2 anni successivi ci sono stati gestori di casse pensioni che sono riusciti a far perdere fino al 25 per cento e più del capitale totale in avere investendo in prodotti finanziari ad alto rischio. E oggi? Come vanno le cose a distanza di due anni? «Non così male come si vuol far credere», ci ha detto Giudici. I rapporti annuali pubblicati dall’Ufficio federale delle assicurazioni sociali e le pubblicazioni dell’Ufficio federale di statistica mostrano infatti che dopo gli anni bui 2001-2002 c’è stata una ripresa generale per le casse pensioni. Fra il 2002 e il 2004 il bilancio complessivo è cresciuto di 63 miliardi di franchi (più 15 per cento) per raggiungere i 479 miliardi. Dal dicembre 1999 ad ottobre 2005 – nonostante il crollo in borsa – il rendimento medio è stato del 10 per cento. Dalla fine del 2003 si è cresciuti in media del 20 per cento. Le performance del capitale sono quindi positive e il 2005 è già stato annunciato come l’anno della vera ripresa. Tanto che il Cf ha dovuto rivedere al rialzo il tasso di remunerazione del capitale portandolo al 2,5 per cento dopo che era stato abbassato. Per l’anno in corso gli esperti prevedono un ulteriore rialzo. Sano del resto è anche il primo pilastro: nel 2005 è stato realizzato un utile di 2,4 miliardi di franchi. Come si giustifica allora la decisione che il Cf ha preso sulla base di dati non più aggiornati sul reale stato di salute della previdenza professionale?

Pubblicato il

10.03.2006 01:00
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