L'editoriale

Un tempo avevamo i treni più puntuali, più sicuri e più puliti del mondo, potevamo effettuare i nostri pagamenti e altre operazioni nell’ufficio postale sotto casa, eventuali guasti della linea telefonica venivano risolti in un battibaleno, avevamo a che fare con ferrovieri e postini che andavano fieri del loro lavoro, che godevano di grande considerazione all’interno delle comunità per l’importante ruolo che rivestivano anche dal punto di vista sociale, al pari del medico condotto, del parroco o del maestro. Oggi non è più così e tutti coloro cui l’anagrafe consente di serbare tali ricordi rimpiangono la qualità del servizio pubblico offerto dalle vecchie FFS e dalle mitiche PTT, le ex regie federali che sul finire degli anni Novanta il Parlamento svizzero decise di trasformare in società per azioni piegandosi alla concezione della nuova gestione pubblica imposta dalle logiche di liberalizzazione e deregolamentazione impostesi negli anni Ottanta e Novanta.

Purtroppo anche con il consenso sostanziale della sinistra istituzionale e dei sindacati, che ancora oggi fanno fatica a riconoscere l’errore commesso e a pensare a un rimedio tanto logico quanto efficace, come quello di riportare le aziende del servizio pubblico in mano pubblica e dunque sotto uno stretto controllo democratico.


Eppure i risultati di quelle privatizzazioni, formali o sostanziali che siano, sono sotto i nostri occhi: i treni sono spesso in ritardo e luridi, molte stazioni sono state chiuse, le aperture delle biglietterie sono state ridotte quasi ovunque e non di rado si verificano incidenti, anche con morti e feriti, più di 1.800 uffici postali hanno chiuso i battenti, altri sono stati “trasformati” e trasferiti all’interno di negozi tra il banco della frutta e quello dei formaggi, il servizio di distribuzione è peggiorato e i prezzi sono aumentati, il personale delle ex regie vive condizioni d’impiego e di lavoro sempre peggiori e sempre più precarie, intere fasce di utenti (per ragioni geografiche o anagrafiche) vengono di fatto escluse dal servizio universale, che per sua stessa definizione dovrebbe garantire “l’approvvigionamento di base in beni e servizi d’infrastruttura di buona qualità che siano accessibili a tutte le cerchie della popolazione e a tutte le regioni del Paese, alle stesse condizioni e a prezzi equi”.  


Certamente, nel confronto internazionale, la Svizzera non è il paese messo peggio da questo punto di vista, ma i cittadini percepiscono che la qualità del servizio pubblico non è più quella di un tempo. Questo sentimento diffuso spiega anche l’ampio sostegno popolare di cui (stando ai sondaggi) sembra godere l’iniziativa in votazione il 5 giugno denominata “a favore del servizio pubblico”, che di buono ha però solo il titolo.
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Pubblicato il 

11.05.16
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