Ha preso avvio in questo giorni nouveaux territoires, la stagione di musica contemporanea 2001-2002, organizzata dall’associazione ginevrina Contrechamps. Dodici concerti previsti tra settembre e maggio 2002 in diverse sale della città, dove saranno interpretate opere di compositori famosi come Schönberg, Boulez, Ligeti, Messiaen, Berio, ma anche di musicisti importanti come l’italiano Franco Donatoni o lo statunitense Elliott Carter (forse meno noti al grande pubblico) e di vari esponenti delle ultime generazioni. Il sito internet www.contrechamps. ch fornisce ulteriori e informazioni. Storia di una passione Il musicologo Philippe Albéra, 49 anni, da quasi un quarto di secolo è animatore della stagione Contrechamps, una manifestazione che ha raggiunto una notevole importanza a livello svizzero e internazionale. Quale pubblico segue i vostri concerti? Non si può parlare di «un» pubblico; ce ne sono diversi. Un pubblico c’è sempre stato, ma da quattro-cinque anni s’è allargato molto, anche perché ci siamo avvicinati al centro città. Ho sempre cercato di fare dei programmi di qualità, senza propormi di vendere un prodotto. Non m’interessa il «successo». Cerco di seguire delle tematiche, che diano un filo conduttore ai concerti. E mi rendo conto che il pubblico segue. Sono giovani? C’è un po’ di tutto. Abbiamo uno zoccolo duro rappresentato da persone decisamente anziane, fedelissime, che non perdono una serata. Ci sono anche studenti. Le nostre serate non sono certo mondane! Ci vengono ascoltatori estremamente attenti, che reagiscono con calore. I musicisti che invitiamo sono soddisfatti del nostro pubblico. Non si tratta di spettatori tiepidi, che si annoiano educatamente… I compositori che invitate, e di cui eseguite le musiche, sono prevalentemente europei o americani? No. Per esempio, cinque o sei anni fa, abbiamo presentato la nuova generazione di compositori cinesi, che hanno suscitato molto interesse. Erano giovani cinesi emigrati dopo i fatti di Tienammen, musicisti molto dotati… Abbiamo invitato giapponesi, latinoamericani. Che effetto le ha fatto, in tutti questi anni, conoscere quasi tutti i protagonisti della nuova musica? Tra la persona e l’opera vi è un divario incolmabile; nella persona non si ritrova l’opera, sono due cose diverse. La generazione di Berio, Boulez, Ligeti, Nono, eccetera, che oggi hanno tra i settanta e gli ottant’anni – o che sono defunti – comprende personalità molto forti. Hanno scritto musica dopo la Seconda guerra mondiale, si sono battuti. Avevano spesso una forza intellettuale, una forza inventiva, erano geniali… Beh, dopo due ore passate con Boulez, si esce pieni di fiducia in se stessi, perché lui irradia di continuo, ha una notevole forza interiore; se poi lo si guarda lavorare, si ha l’impressione che tutto sia semplice, un gioco da ragazzi. Invece Nono, che mi piace molto, è un personaggio tormentato; andava spesso in crisi, era pieno di dubbi, soffriva… Ligeti e Berio sono molto sensuali, seducenti… È bello seguire un giovane talento E i giovani compositori? È bello seguire un ventenne di talento, vedere come si sviluppa il suo lavoro. Per esempio, durante un corso di composizione di Klaus Huber organizzato da Contrechamps, il ginevrino Michael Jarrel ci ha mostrato il suo lavoro e l’abbiamo trovato interessante… Per lui è stato un momento importante, abbiamo eseguito i suoi lavori, lo abbiamo difeso. Poi è andato per la sua strada e adesso è uno dei compositori importanti della sua generazione e insegna al conservatorio di Vienna. Quindici anni fa, abbiamo fatto venire Kurt Haag; ora se lo contendono tutti, a Salisburgo, a Vienna, ad Amsterdam, tutti vogliono organizzare festival dedicati a lui. È stimolante, è un privilegio. Certo, difendere Mozart non è molto rischioso. Ma scommettere su qualcosa che non si conosce, sommersi da dubbi e ripensamenti…, è appassionante. Si vive con la creazione. Si vive, insomma. Non siamo storici o antiquari. Ci sbagliamo sicuramente. Ma è appassionante. Qual è il ruolo di Ginevra nell’ambito della musica contemporanea. A partire dalla Seconda guerra mondiale, Ginevra ha avuto tendenze assai conservatrici. Un fatto paradossale, perché in precedenza aveva avuto tendenze avanguardistiche: il direttore d’orchestra Ernest Ansermet aveva eseguite parecchie nuove creazioni. Dopo il vuoto creatosi tra il ’45 e il ‘75, oggi Ginevra è forse la città svizzera con la struttura più solida nell’ambito della musica attuale. Questo soprattutto grazie al lavoro che Contrechamps svolge da quasi venticinque anni nella marginalità, in un certo senso contro l’establishment e che, in seguito, ha ottenuto riconoscimenti un po’ ovunque. Abbiamo conseguito risultati anche a livello pedagogico, nei conservatori; persino l’Orchestre de la Suisse romande ha cominciato a mettersi in moto. Contrechamps svolge un’attività internazionale e che ha una stagione vera e propria. «Contrechamps»: non solo concerti Cosa significa «Contrechamps»? È un ensemble che assicura una stagione di concerti; è una casa editrice che fin’ora ha pubblicato una trentina di libri; è una serie d’animazioni, d’atelier, che servono a introdurre il pubblico alla musica contemporanea. Che senso può avere la musica contemporanea per l’ascoltatore medio d’oggi? Il termine «contemporanea» non ha più molto senso, diciamo che non esiste più: indica all’incirca una musica che oppone resistenza a certe abitudini d’ascolto. Il termine comprende anche alcune composizioni che risalgono a prima della Seconda guerra mondiale, dunque tutt’altro che contemporanee! Una musica «esigente», scritta, pensata, con una forma, che presenta un certo significato, una certa complessità – come avviene in Monteverdi, Bach, Schönberg o Boulez. Diffondiamo una musica esigente D’altra parte, esistono musiche più facili da capire: le musiche popolari, il jazz…, che richiedono meno sforzo intellettuale di comprensione di un linguaggio. La musica colta è qualcosa in cui si entra in due modi: attraverso lo choc immediato, perché comunica al corpo, ai sentimenti; oppure può creare un interesse che passa anche attraverso l’intelletto, il cervello: si delinea una forma, si stabilisce un rapporto tra i vari passaggi, tra i temi e le variazioni, tra i temi e le loro ripetizioni. Perciò, in questo caso, si deve essere capaci di seguire. Le sinfonie di Bruckner, con movimenti che durano anche mezz’ora, o le sinfonie di Beethoven, sono costruzioni molto intellettuali ma anche ispirate, provenienti dall’inconscio. La musica ha il privilegio di essere il luogo d’incontro tra il corpo e la mente, tra il sentimento e l’intelletto. Il coinvolgimento del pubblico In base alla sua esperienza, come reagisce il pubblico? Vi sono appassionati di certa musica classica che non vogliono sentir parlare né del repertorio antico né di quello contemporaneo. Altri, che non hanno la stessa cultura musicale, magari si annoiano ad ascoltare Haydn, perché le sue opere hanno delle convenzioni molto forti, ma si lasciano coinvolgere in modo più diretto dal repertorio contemporaneo, dove le convenzioni sono meno riconoscibili. L’orecchio adatto dei bambini Lo vediamo anche coi bambini, che non hanno problemi ad ascoltare questo tipo di musica. L’idea che la musica contemporanea sia più complicata, più noiosa, più seria – è un pregiudizio assurdo; non vi è niente di più complesso, come costruzione mentale, di certe composizioni di Bach o delle polifonie del Quattro o Cinquecento. Gran parte delle composizioni contemporanee sono molto più semplici… In cosa consistono, scusi il paradosso, le novità della «nuova musica»? Nel ventesimo secolo, i compositori si sono orientati verso nuovi orizzonti sonori, spesso influenzati dall’Africa o dall’Oriente. Sono cambiate le loro concezioni del suono, del discorso musicale, del tempo. Tutto ciò è cambiato parallelamente all’evoluzione della società. Da Einstein in poi, non abbiamo più la stessa concezione del tempo. Per il suono, abbiamo a disposizione altri strumenti, abbiamo un altro orecchio, siamo stati formati da altri suoni, provenienti da altre culture.

Pubblicato il 

05.10.01

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