Non tutti gli "altri" sono uguali

Viviamo nell’era della mobilità. Chi non si muove perde terreno. Ne sa qualcosa anche il Pippo nazionale. Stare fermo senza patente equivale ad un handicap. E non crediate che sia stato un vago senso d’impunità, di sensazione di farla franca, a metterlo al volante senza patente e ad infischiarsi dei limiti di velocità. No, lo ha fatto perché così poteva dar prova che la legge è uguale per tutti, che anche lui sarà sanzionato come gli altri. Come gli altri? Veramente a me sembra che anche gli “altri” si dividano in categorie. Quelli che incassano la multa, il ritiro della patente e tacciono, e quelli che dall’alto del loro errore ti fanno la predica sui valori della democrazia. «In fondo non siamo peggio di tutti gli altri partiti» ha argomentato il presidente del Ppd all’indomani della malefatta del suo collega, in un’arrampicata sui vetri che dovrebbe figurare fra i discorsi storici nel manuale di acrobazie della politica. Ci sono “altri” che quando la combinano grossa finiscono alle pretoriali a marcire in celle indegne di questo paese, e ci sono “ALTRI” che si fanno ricoverare all’ospedale, camera privata. Ma cos’è questa propensione a delinquere che fa sembrare il Ticino la Paperopoli della banda Bassotti? Da dove spuntano tutti questi furboni che rubano a destra e a manca? Anche loro fanno parte della schiera impegnata a dimostrare che da noi la giustizia fa il suo corso senza guardare in faccia a nessuno? Ah scusate, non avevo capito. Non capisco più niente. Sarà perché anche l’informazione si fa confusa, ce n’è troppa. Un fatto cancella quello che lo ha preceduto con una velocità formidabile. La nostra memoria assomiglia sempre di più a quel tasto del computer che sovrascrive, facendo sparire le lettere sottostanti. Come se non bastasse, certi canali televisivi ti propinano una notizia letta e commentata in immagini, mentre in basso scorre una striscia con altre notizie. Ti fanno vedere il terremoto in Giappone e contemporaneamente ti fanno sapere dei disturbi intestinali del Tizio che partecipa al gioco di sopravvivenza su una spiaggia di Santo Domingo. Notizia imperdibile, mi rendo conto, che non può aspettare un’altra collocazione. Intanto però la cacofonia aumenta, e la confusione pure. Anche in casa. Il telefono senza filo fa sì che adesso uno parla e intanto fa qualcosa d’altro: carica la lavastoviglie, cambia il pannolino al bambino, apre la scatoletta per il gatto. Cose che magari non faresti se avessi davanti l’interlocutore, per rispetto, per il gusto di guardarlo in faccia mentre gli parli. Ma anche questa è una pratica che sta andando in disuso. Uno ti parla e tu vai avanti a leggere la corrispondenza, convintissimo di poter fare le due cose insieme. Leggere Melville e ascoltare Brahms, riempirsi la bocca di Corn-flakes bio e leggere che la fame fa strage in qualche stato africano, camminare per strada, magari gesticolando e parlare al telefonino con il “mani-libere” inserito. Oh, niente paura. Siamo tutti sanissimi, siamo tutti normali. Vero?

Pubblicato il

03.10.2003 13:00
Cristina Foglia
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