La gente non ne può più delle ingiustizie sociali. È una considerazione apparentemente banale e superficiale, ma che descrive un sentimento sempre più diffuso nel nostro paese. Il dato è venuto prepotentemente a galla lo scorso 12 febbraio con la sonora bocciatura (quasi il 60 per cento di no) dell'iniqua riforma fiscale delle imprese, che prevedeva una pioggia di regali per persone giuridiche e azionisti e, di riflesso, tagli ai servizi e nuovi sacrifici per la collettività.
Un risultato per certi versi clamoroso, tenuto conto che a sostegno della (contro)riforma erano scesi in campo con l’artiglieria pesante (più di 10 milioni di franchi spesi in propaganda) tutte le organizzazioni economiche, i Cantoni, il Consiglio federale e i partiti borghesi, compresi quelli – come l’Udc o la Lega dei Ticinesi – che a parole stanno dalla parte del “popolo” ma che nei fatti tutelano sempre e solo gli interessi dei ricchi. Tutti un po’ frastornati, hanno subito tentato di ridimensionare il risultato della votazione cercando di far passare i cittadini per degli stupidi che non capiscono nulla di fiscalità. La materia, è vero, è complessa e la legge posta in votazione lo era ancora di più, ma il suo scopo ultimo era chiarissimo e la maggioranza del popolo lo ha capito perfettamente: le grosse imprese e i loro azionisti avrebbero ottenuto ulteriori regali fiscali, mentre le persone con reddito medio e basso si sarebbero viste aumentare gli oneri. Risultato: la distribuzione della ricchezza in Svizzera, dove già oggi il 2 per cento della popolazione possiede un patrimonio pari a quello del restante 98 per cento, sarebbe stata resa ancora più iniqua. Ma il segnale uscito dalle urne il 12 febbraio ha un significato che va oltre la materia strettamente fiscale: esso testimonia la crescente insofferenza dei cittadini di fronte alle (connesse) politiche di smantellamento del servizio pubblico e delle prestazioni sociali che si susseguono ormai da decenni (in Svizzera come altrove) e che hanno già prodotto enormi danni. Si pensi allo stato in cui sono state ridotte la Posta e le Ferrovie federali svizzere, ai tagli nella scuola, alla scure che si è abbattuta sulla socialità e dunque su malati, anziani, invalidi, disoccupati, famiglie. E tutto questo in un contesto di sempre minori tutele per le salariate e i salariati, motore dell’economia e del paese, che comprensibilmente considerano la misura ormai colma. Il 12 febbraio 2017, che piacevolmente ricorderemo anche per il sì alla naturalizzazione agevolata per i giovani stranieri di terza generazione (finalmente un segnale contro l’esclusione e in favore dei diritti), è suonata una campana di avvertimento. Per esempio per quei parlamentari federali che nelle prossime settimane saranno chiamati a prendere importanti decisioni in materia di Avs e previdenza professionale e che sono tentati dall’idea di massacrarle.
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