Fare i conti senza l’oste. È quanto avviene all’aeroporto di Lugano-Agno, su cui negli ultimi tempi in molti, tra politici e amministratori, si sono sentiti in dovere di esprimersi. Il problema è noto: lo scalo luganese da anni è un malato grave, economicamente parlando. Sul parere degli attori principali però, la settantina di dipendenti dello scalo, si preferisce invece nicchiare, facendo orecchio da mercante. Eppure i sacrifici richiesti ai dipendenti non sono di poco conto. Senza contare che già da un anno il personale sta facendo dei sacrifici. Nel nome dell’interesse dello scalo, da dodici mesi alcuni settori hanno introdotto una maggiore flessibilità con l’orario spezzato (turni che si iniziano alle 6 e finiscono alle 19 con 4 ore di pausa), sono state diminuite lo ore pianificate rispetto all’anno precedente e sono state assunte nuove mansioni, come la pulizia a bordo degli aerei di linea, appaltata in precedenza a dei privati. Sacrifici accettati dal personale per favorire l’avvio della Minoan Air, la compagnia aerea che aveva incominciato le attività allo scalo luganese lo scorso anno. Nel giro di quattro mesi però, gli aerei della Minoan Air spariranno dai cieli luganesi, mentre i sacrifici chiesti ai dipendenti continuano a essere in vigore. Una volta terminata la fallimentare operazione Minoan (un milione di perdite per l’aeroporto), la direzione alla ricerca di un pareggio di bilancio da esibire ai politici, è tornata alla carica con un nuovo pacchetto di sacrifici. Ora si chiede ai dipendenti di tagliarsi il salario del 6 per cento, di ampliare a tutti i settori la flessibilità con gli orari spezzati e di assumere le pulizie del terminal. E, sacrificio finale non di poco conto, assumersi l’attività dell’aviazione privata, oggi appaltata a una ditta esterna con tredici dipendenti. Un’attività gravosa, equivalente a una buona parte delle operazioni complessive dell’aeroporto. Oltre ai compiti che già svolgono, i dipendenti dell’aeroporto dovrebbero assumersi il lavoro in precedenza svolto da tredici persone, senza nessuna contropartita. Nessuna assunzione è infatti prevista per la ripresa dell’importante attività, che ricadrebbe in maniera pesante sulla loro giornata lavorativa. I dipendenti hanno elaborato e sottoposto alla direzione una proposta di gestione che consenta di farvi fronte senza penalizzare eccessivamente i dipendenti. Sulla proposta, consegnata due mesi or sono, la direzione non si è ancora espressa. Riassumendo, i dipendenti aeroportuali si sentono come un limone da spremere fino all’ultimo, senza ringraziamenti e senza garanzie su un’inversione di rotta dello scalo luganese in grado di dare maggiore tranquillità al futuro professionale. Tanto più che la classe politica, sia comunale che cantonale, non pare stracciarsi le vesti per i dipendenti dello scalo luganese. Eppure la città di Lugano detiene l’87,5 per cento delle azioni e il Cantone la parte restante. La scorsa settimana, l’esecutivo cittadino ha rifiutato una richiesta d’incontro inoltrata dal personale, rinviandolo alla direzione. Un incontro chiesto per sbloccare la situazione di stallo nelle trattative con la direzione, ferma sulle sue nuove richieste di sacrificio, bocciate in maniera compatta dal personale in assemblea. «Il personale dell’aeroporto di Lugano Agno ha sempre offerto un ottimo servizio, ottenendo dei riconoscimenti anche a livello europeo quale miglior scalo per puntualità. Con la stessa professionalità con cui abbiamo sempre lavorato, difenderemo i nostri diritti» spiega ad area Marco Forte, presidente della commissione del personale. Diritti che sono sanciti da un contratto collettivo di lavoro. «Un contratto che non ci è stato regalato. E il personale è compatto nel difenderlo» chiarisce Forte. I politici, i membri del consiglio di amministrazione e direzione aeroportuale vi “suggeriscono” di accettare i nuovi sacrifici, pena il fallimento dello scalo. Il taglio del sei per cento dei nostri stipendi, equivarrebbe a un risparmio di 200.000 franchi. Sostenere che il futuro dello scalo dipenda da questo importo è perlomeno azzardato. Direzione e azionisti pubblici sostengono che i tagli ai salari sono generali a tutti gli attori dell’aeroporto. In parte è vero. Il cda si è ridotto del 50 per cento le retribuzioni, per la direzione si parla di una riduzione tra il 12 e il 20%, mentre i quadri hanno volontariamente accettato la riduzione del 6%. Noi abbiamo sempre affermato che anche i quadri dovevano fare dei sacrifici, ma al posto del taglio di stipendio avevamo proposto come per noi una presa a carico di altre mansioni e funzioni. Se si fossero bloccate le assunzioni nel management dal momento in cui si sapeva che l’azienda era in difficoltà, si sarebbe potuto distribuire i compiti ed evitare misure più dolorose. Vorrei far notare che tra il personale ci sono diversi dipendenti il cui taglio del 6 per cento pesa molto per arrivare a fine mese. I tagli incidono in maniera diversa a seconda del salario. Perché una quota variabile tra il 12-20% di taglio alla direzione? La riduzione non concernerà solo la quota variabile dello stipendio dei management, ossia il bonus? E coi risultati economici dell’aeroporto degli ultimi anni, vi è da chiedersi se non rinuncino a qualcosa che non hanno mai preso… La commissione del personale non ha accesso a questi documenti. Non abbiamo risposte a questi dubbi. Vi sentite abbandonati dai politici? Si ha l’impressione di essere dipendenti pubblici di serie B. Non ci risulta infatti che, nonostante la crisi, si siano chiesti agli impiegati pubblici sacrifici così pesanti. Oltretutto i nostri stipendi non sono certamente alti. La direzione di un ente pubblico quale l’aeroporto ha delle responsabilità sociali anche nei confronti dei dipendenti, non solo verso gli azionisti. Soprattutto quando questi ultimi sono i cittadini contribuenti. Angelo Jelmini, il municipale luganese responsabile del dossier, ha più volte lasciato intendere che se non accettate i tagli, le ripercussioni potrebbero essere svariate. Dall’esternalizzazione della gestione aeroportuale a privati (vedi aziende francesi contattate), licenziamenti fino alla chiusura pura e semplice dello scalo. Non capiamo il senso di queste dichiarazioni. Come ente pubblico stiamo riprendendo diverse mansioni che in precedenza erano state esternalizzate a ditte private. Se l’aeroporto le riprende, significa che non era stato un buon affare affidarle a privati. Inoltre, proprio in ragione dei nuovi compiti che dovremmo assumere, difficilmente si capisce la minaccia di licenziamenti. Infine, scaricare le colpe della chiusura dello scalo sui dipendenti è piuttosto assurdo. Da anni accettiamo sacrifici perché promettono investimenti che diano progettualità a medio-lungo termine all’aeroporto. Sarebbe ora che dalle promesse, i politici passino ai fatti, decidendo concretamente che cosa fare di questo scalo. Ora la trattativa è definitivamente interrotta? L’assemblea del personale ha rifiutato compatta l’ultimo pacchetto di richieste di “risparmi”, tranne la ripresa dell’attività dell’aviazione privata. Adesso stiamo aspettando delle risposte sulla proposta di gestione dell’aviazione privata da noi elaborata. Inoltre c’è anche l’accordo sulle misure attualmente in vigore che bisogna prolungare. Ripeto, i dipendenti sono pronti a difendere i loro diritti sanciti nel ccl. Restiamo aperti a un confronto finalizzato alla ricerca della soluzione migliore. A noi sta a cuore il futuro di questo scalo, ma non è coi ricatti e le minacce che la situazione si sbloccherà. Alla base, ci vuole rispetto per i propri collaboratori. |