«Non siamo animali»

Rimpatri dei kosovari, l’altra faccia della medaglia, ossia quella che la Svizzera ufficiale non ama guardare. Continua il braccio di ferro tra i kosovari, l’associazione che li appoggia — "En quatre ans on prend racines" — e il Consiglio di Stato del canton Vaud. Malgrado un primo incontro, infatti, l’occupazione della chiesa protestante di Bellevaux, dove hanno trovato rifugio alcuni kosovari, continua. E continua sostenuta da un movimento convinto che la politica d’asilo svizzera è assurdamente rigida. Il Consiglio di Stato vodese rimane, tuttavia, irremovibile: domenica, alla televisione romanda, il ministro Claude Ruey ha detto che non intende in nessun caso prevedere una soluzione globale anche se è pronto a rivedere caso per caso. Ed è questo principio arbitrario che contesta l’associazione. La concessione, con il contagocce, dei permessi individuali rischia inevitabilmente di dividere il movimento e gli occupanti del rifugio, determinati però a resistere. "Intendiamo restare solidali tra noi — ha detto Arijeta Buzhala, una kosovara — e non cadremo nella trappola tesa dalle autorità. Siamo dei lavoratori e non degli animali con i quali si gioca di mese in mese". Il caso di Bellevaux ha riportato nuovamente e drammaticamente alla luce la rigidità della politica d’asilo che spesso non sa riconoscere, o non vuol riconoscere, i risvolti umani delle storie di cui viene a conoscenza. Sul piano delle critiche anche la procedura di asilo troppo spesso imprigionata in pastoie burocratiche che finiscono per ripercuotersi, negativamente, su chi ha chiesto rifugio nel nostro Paese. Intanto l’esempio di Bellevaux fa scuola. Il collettivo dei "sans papier" di Friburgo, che l’altro giorno ha tenuto la sua prima riunione, intende preparare anche la sua prima occupazione. Contrariamente all’associazione "En quatre ans on prend racines", l’obiettivo del movimento di Friburgo (che raggruppa i "sans papier" nel senso più ampio del termine) è di proteggere tutti gli stranieri minacciati di espulsione e di combattere contro i rinvii forzati. Secondo il "Centro di contatto Svizzeri-Immigrati", le persone toccate sono, nel solo cantone di Friburgo, da 5 mila a 10 mila. Prendendo ad esempio i kosovari di Losanna, anche il collettivo intende preparare l’occupazione di un luogo pubblico. Quando? L’azione è prevista nelle prossime settimane, sarà pacifica e potrebbe aver luogo in una chiesa. Il foglio romando "Le Courrier" ha scritto che la Conferenza svizzera dei vescovi ha già dato il suo appoggio al collettivo, che spera di creare dei legami con altri movimenti analoghi nel canton Vaud, Ginevra e Zurigo. Uno slancio umanitario che, speriamo, possa moltiplicarsi in tutta la Svizzrera.

Pubblicato il

11.05.2001 01:30
Françoise Gehring Amato
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