Il dibattito sui risparmi dello Stato non conosce tregua né limiti. Tocca il sociale, lambisce l’economico, investe il culturale. O lo investirà, come qualcuno minaccia.
Tutti siamo chiamati alla cassa, sogliono ripetere gli amministratori. Il che, detto così, sembra un principio improntato a un più che legittimo senso di equità.
Tutti siamo chiamati alla cassa, anche chi da sempre è in dieta.
Le voci che si sollevano dai partiti di governo mettono paura. Non si fa che parlare di tagli, limature, sacrifici, a dipendenza degli importi. Si parla di tagli nei Tribunali, nell’amministrazione e presso l’Ufficio della cultura. Che, secondo il nuovo direttore, J.-P. Jauslin, è troppo caro. «Si tratta di ristabilire una politica culturale coerente, che favorisca le sinergie e migliori l’informazione in seno all’amministrazione». Così si è espresso il direttore. Il quale, dopo aver annunciato alcune restrizioni, ha aggiunto: «Occorre che gli svizzeri si lascino maggiormente allettare dalla cultura» (con riferimento, si suppone, al mecenatismo che latita non poco). Il che è come dare una sberla e poi porre l’irosa domanda: “Ne vuoi un’altra? Eh?”
Apro il giornale di Lugano a metà settimana e trovo scritto: “Meno costi col Tribunale Federale”, “Ufficio della cultura troppo caro” e “Anche la Ssr deve risparmiare (un primo pacchetto di risparmi per 8 milioni è già stato varato)”. Il lessico di frequenza è minaccioso assai. E non è finita. Sullo stesso giornale sta scritto anche: “Deficit di 680 milioni nel preventivo federale”; “Momento difficile per l’Associazione ticinese editori di giornali”; in crisi le segherie e la Snl, la Società di Navigazione Lugano. Insomma, nessuno si salva. E questa si chiama poeticamente allegria da naufraghi.
Di chi la colpa di tutti questi dissesti? Avete dei dubbi? Toglieteveli! La colpa dei dissesti è dei titolari di prestazioni complementari Avs/Ai, che si sono mangiati una buona parte degli introiti radiotelevisivi (vale per la “Ssr idée suisse”, che resta una buona idea al di là di tutto). Il resto l’ha fatto il rincaro dei salari, a cui si sono aggiunti, via via, i tagli dei sussidi federali.
Ora, la civiltà sarà anche una questione di piedi al caldo, come ha scritto – credo – Ennio Flaiano, ma qui ne va anche del pudore. Anche il pudore, a dispetto della latitudine, sembra dipendere dal clima in questo nostro amato Paese. Insomma, ciò che valeva per le persone ora sembra valere anche per i conti dello Stato. E non c’è niente da ridere. Non solo per i pur gravi attentati alla socialità. Non si vive di solo pane. I paventati tagli nel culturale, cui sembrano adeguarsi molti politici, sono una minaccia gravida di nefaste conseguenze. Un autogoal. Perché senza la mediazione culturale, che permette di capire, che crea consapevolezza e senso di responsabilità, si va verso il baratro. Un modo per dar ragione alla rozzezza e alla pochezza argomentativa di troppi politici da canvetto. Con conseguente imbarbarimento della vita associata.
Ancora una volta sta una domanda che nasce dal buon senso: perché chi rapisce la gente viene punito mentre chi rapisce le masse la fa franca? |