"Non può fare più in fretta?"

All'inizio mi era piaciuto molto. Mi avevano pazientemente mostrato come si fa cosa, ed io ero in grado di svolgere i miei compiti autonomamente. Per esempio disporre una paletta di casse negli scaffali. Bisogna sempre stare attenti alla data di scadenza e mettere gli articoli negli scaffali in modo tale che davanti si trovino quelli che scadono prima. Ma non tutti lavoravano allo stesso modo. C'era chi non badava neppure alle date di scadenza. Col tempo ebbi l'impressione che molti avrebbero preferito che lavorassi con meno precisione, ma in compenso più velocemente.
Il vicegerente della filiale mi ha raccontato spesso di Gottlieb Duttweiler, il fondatore di Migros, e delle sue idee della Migros come datore di lavoro sociale. Diceva che purtroppo tutto questo andava perdendosi, ma che la Migros è sempre e ancora il miglior datore di lavoro nella vendita. Nel contempo continuava a lamentarsi della Federazione delle Cooperative Migros di Zurigo, diceva che è colpa loro se le cose vanno sempre peggio.
Già prima del primo corso per l'uso della cassa sono stata ufficiosamente introdotta alla cassa, anche se questo non è permesso. La capa delle casse stava sempre direttamente dietro di me e mi diceva cosa dovevo fare. I due corsi per l'uso della cassa al centro di Gossau sono poi stati piacevoli.
Di ritorno in negozio fin dal primo corso sono stata messa per tutto il giorno alla cassa. Da allora non c'è più stato giorno senza cassa. La cassa significa stress continuo. Certo puoi prendere con te una bottiglietta d'acqua, ma io non sono mai riuscita a bere nemmeno un sorso. Prima di Natale avevamo spesso aperto tutte le casse, allora potevi ancora andare alla toilette soltanto se c'era poco movimento – e ci andavi con la coscienza sporca.
Alla cassa la capa delle casse sta in mezzo, così che non ti perde mai di vista. Ne risulta un controllo continuo: se adesso si ha davvero qualcosa da fare, se davvero si sta facendo ciò che è stato ordinato di fare. Guai se una volta si riempie la moneta perché altrimenti non ce n'è abbastanza. Stop! Subito in negozio a riempire gli scaffali, la moneta puoi riempirla anche "dopo". Allora si va per dieci minuti in negozio ad aiutare una collega che sta facendo riempimento. Ma subito si viene richiamati alla cassa. E guai se entro 30 secondi non si è di nuovo seduti alla cassa – una scenata piena di rabbia è sicura. Allora si può servire svelto un paio di clienti fino a quando la grande ressa è passata. E guai se si rimane seduti per un secondo di troppo in cassa: nel negozio sono sotto stress, adesso è lì che si deve aiutare.
Io e un'altra aiuto venditrice avevamo per lo più il servizio "cassa 2": significa correre sempre avanti e indietro. Nel limite del possibile ci facevano lavorare in un reparto vicino alla cassa. Se il reparto è più lontano è possibile che non ci si sia nemmeno arrivati e che già si venga richiamati in cassa. A noi aiuto venditrici venivano anche assegnati degli orari per le pause che non servono a nulla. Così si nota chi ha una buona posizione in negozio.
La cassa significa anche: si viene mandati in pausa anche se di fatto non se ne può fare uso. Se non ci si alza subito dopo essere stati mandati in pausa, allora ci si sente dire: «Dovresti essere da un pezzo in pausa!». Solo perché sia rispettata la pausa di un quarto d'ora prevista dalla legge. D'altro canto si dovrebbe andare in pausa alle 8.30 ma si viene spediti ancora cinque minuti prima in cassa. Allora bisogna dapprima riaprire la cassa. Poi servire la gente. Eppoi andare in pausa. Ma non si è ancora preso nulla per la pausa. È facile calcolare che cosa ne rimane.
Allo stesso modo funziona con la pausa di mezzogiorno. Vengo sostituita soltanto a mezzogiorno e un quarto. Un'ora di pausa pranzo sarebbe prescritta per legge, dicono. Ma guai se all'una in punto non sono di nuovo seduta alla cassa, altrimenti mi sento dire «signora Imboden, non se ne parla nemmeno». Dunque all'una sono di nuovo seduta da brava alla cassa, frustrata, ma non voglio certamente arrabbiature con i superiori. In compenso mi arrabbio con me stessa.
Di nuovo pausa pranzo. Siedo già da mezz'ora in questo noioso locale pausa, ho finito di mangiare da un pezzo. Allora vado di nuovo a lavorare, in definitiva finora era uguale se non facevo un'intera ora di pausa quando venivo sostituita troppo tardi. Ma ho fatto male i miei calcoli. Appena mi sono rimessa al lavoro che già arriva una superiora: «Signora Imboden, così non va, questo lo deve discutere prima con la capa, la signora Vogel. Dopotutto dobbiamo risparmiare sulle ore». Ah, così stanno le cose. Mi si può imporre tutto affinché io non abbia la mia ora di pausa pranzo, ma guai se una volta io non uso tutta un'ora intera e torno già prima a lavorare.
Semplicemente non posso più pensare con la mia testa e soprattutto non posso più avere dei bisogni miei personali. Perché continuo a non capirlo? Dunque non pensare con la mia testa. Ma guai se per una volta non si riesce a leggere nei pensieri dei propri superiori, perché ci si sente dire: «allora vai lì, fa' questo e quello, su per favore, non hai visto?».
Ma di questo non si può rimproverare i superiori diretti. Anche loro sono sotto pressione dall'alto, probabilmente va avanti così in una lunga catena fin su in cima. La capa delle casse per esempio s'è lamentata spesso di dover spedire la gente di qua e di là.
C'erano anche sempre incomprensioni fra il personale alla cassa e quello nel negozio. Quando davanti in cassa si è in pieno stress e dietro girano senza fare niente, allora il clima non è piacevole. D'altro lato mi è sembrato spesso che gli impiegati venissero aizzati dall'alto l'uno contro l'altro in modo da farsi pressione e controllarsi a vicenda. Roba da diventare matti.
Una volta avevo "cassa 2", dovevo correre tutto il giorno avanti e indietro e nel mezzo dare una mano anche in magazzino. Buon ultimo arriva ancora un cliente che vuole un articolo che, per un ritardo nelle consegne, al momento non c'è in magazzino. Il cliente mette giù un putiferio. In queste occasioni è sempre il personale di vendita che ci deve mettere la faccia. Il cliente è re. Anche quando ha dimenticato di pesare la verdura, ci si deve alzare, precipitarsi alla bilancia, trovare il codice da una lista, pesare tutto – allora ci si può sentir dire «perché ci mette così tanto, non può fare più in fretta?». Si deve sempre rimanere gentili. Ma dopo un giorno così si lascia il negozio completamente frustrati. Come si dovrebbe elaborare la propria frustrazione durante il lavoro? Non rimane altro da fare che ingoiare tutto e tornare a casa incazzati.
Ma il lavoro è molto esigente anche sul piano fisico. Si deve alzare e trascinare molti pesi. Anche il lavoro alla cassa non è propriamente sano. Un collega una sera tornando a casa in bus mi ha raccontato dei problemi alla schiena che gli sono venuti a causa del lavoro alla cassa. Per lui era del tutto normale, pensava che prima o poi qui tutti si beccano qualcosa. Ed effettivamente tutti tranne il più giovane hanno qualche malanno.
Alla mattina, prima che il negozio apra, tutti aiutano a riempire gli scaffali del pane e della verdura. Il primo giorno di lavoro del nuovo anno è venuto il gerente della filiale, ha radunato tutti e ha fatto un discorso: l'anno scorso tutti hanno lavorato bene, c'è stato un utile record, per questo ringrazia tutti. Ciò malgrado nell'anno nuovo dobbiamo risparmiare ore, per ordine dall'alto. Ha cercato di opporsi, ma non è servito a nulla. L'umore fra di noi era pessimo. Tutti sanno cosa significa. Al momento le ore possono ancora essere risparmiate recuperando le molte ore straordinarie che tutti hanno fatto. Ma prima o poi ci saranno licenziamenti o riduzioni dei tempi di lavoro.
In pausa un paio hanno urlato. Tutti sanno che la cifra d'affari non cresce da sola. Arriva sempre più gente, che compra sempre di più. Eppure dobbiamo risparmiare ore e lavorare ancora di più e ancora più in fretta. Tutto diventerà ancora più stressante. Eppure già oggi tutti danno tutto per il negozio. Ma dall'inizio dell'anno tutti sono di cattivo umore perché siamo sempre più debordati dal lavoro. Tutti sono al limite. Allora c'è sempre qualcuno che dice: alla Coop è peggio.
Ieri era il mio ultimo giorno di lavoro. Non ho chiesto un certificato di lavoro perché avevo sempre l'impressione che non erano contenti del mio lavoro. Ma avevo ancora un colloquio con la capa. La signora Vogel. Finalmente avevo il tempo per esprimere il mio disagio. Prima era diverso, racconta lei, c'era tutto un altro clima sul posto di lavoro. Con molto più personale si faceva molta meno cifra d'affari. Anche lei è molto insoddisfatta della situazione odierna. A tutti si chiede di lavorare oltre le loro possibilità. Ma non si può farci niente, le indicazioni vengono dall'alto, dalla Federazione delle Cooperative Migros. Le ho chiesto perché secondo lei tutti accettano di rendere sempre di più senza in cambio ricevere nulla. La sua risposta è stata semplice: «così si tengono il loro lavoro». Così è. Chi non segue, può andarsene.



Karin, una storia esemplare
Peggiora l'organizzazione del lavoro. Lo conferma un'inchiesta Unia

«Quella di Karin Imboden è una storia tipica, ciò che lei racconta è generalmente riscontrabile come tendenza nel settore della vendita», ci dice Dario Mordasini, responsabile per le questioni di sicurezza e salute al sindacato Unia. Infatti la storia di Karin (cfr. articolo principale) è confermata da un'inchiesta svolta in Ticino dal sindacato Unia e dalla fondazione Ecap sulla salute del personale della vendita e presentata la primavera scorsa. I risultati di quell'inchiesta sono chiari: il 54 per cento degli interessati vorrebbe che si agisse per ridurre lo stress sul posto di lavoro, che colpisce di più gli impiegati senza mansioni direttive che i loro diretti superiori. Altri dati significativi di quell'inchiesta: 4 impiegati su dieci chiedono miglioramenti ambientali (basse temperature, correnti d'aria), il 25 per cento lamenta la mancanza di luce naturale, il 38 per cento soffre per i pesi da portare, il 34 per cento chiede più controlli sugli orari di lavoro e il 31 per cento vorrebbe essere meglio seguito nella gestione dei clienti difficili.
Sia quell'inchiesta che la storia di Karin confermano l'importanza dell'organizzazione del lavoro sul benessere e la salute degli impiegati: «è vero, molto si è fatto a livello tecnico, migliorando ad esempio la sicurezza delle macchine e l'ergonomia delle postazioni di lavoro. Ma in molti settori negli ultimi anni constatiamo un peggioramento dell'organizzazione del lavoro», afferma Mordasini. Ma è così difficile organizzare meglio i processi lavorativi in un grande magazzino? «C'è da considerare che il personale è sempre più ridotto al minimo, che è sottoposto ad una continua rotazione, che il personale nuovo spesso non è introdotto correttamente al suo nuovo posto di lavoro e che i gerenti non hanno tempo sufficiente per pianificare correttamente», risponde Mordasini. «In queste condizioni ogni minimo imprevisto quotidiano mette sottosopra l'intera organizzazione, non c'è più tempo per riorganizzarla e si finisce per improvvisare». La storia di Karin poi dimostra quanto l'impossibilità di decidere sugli aspetti minimi della propria vita di lavoratrice generi stress: «anche in questo è una storia esemplare», commenta Mordasini.
Che ne è stato dell'inchiesta sulla salute delle commesse condotta in Ticino? Intanto si sono fatti degli interventi concreti in Ticino per risolvere alcune situazioni di disagio. Poi è stata preparata un'inchiesta analoga da condurre a Zurigo e se ne è discusso all'interno del sindacato. E si vuole ancora discuterla ampiamente con di datori di lavoro per arrivare a risposte meno puntuali e più organiche.    -hgf-

Pubblicato il

07.03.2008 01:00
Karin Imboden
Matthias Preisser
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