«Non passeranno»

Domani sulla Piazza federale di Berna si vedrà quanti saranno coloro che non ci stanno alla decurtazione della pensione: l’ormai nota e sciagurata proposta del Consiglio federale di diminuire il tasso di rendimento minimo dei capitali versati alle Fondazioni di previdenza collettiva. L’Unione sindacale svizzera (Uss), con i principali sindacati Sei e Flmo, ha chiamato a raccolta i suoi aderenti per far sentire la propria voce in una manifestazione nazionale contro la decisione del Governo. Ricordiamo che a inizio estate la consigliera federale Ruth Metzler si era aveva sposato la tesi delle compagnie assicurative proponendo il taglio del famoso tasso tecnico di un punto percentuale: dal 4 per cento al 3 per cento dal 1° ottobre di quest’anno. La scorsa settimana, alla prima riunione del Consiglio federale, il tasso proposto è passato dal 3 al 3,25 per cento! Evidentemente non cambia la sostanza del problema che è la riduzione, notevole, delle rendite e dei capitali futuri. Una decurtazione “tout court” a danno degli assicurati. Ma la vicenda della Legge sulla previdenza del personale (Lpp) è lunga. Si è iniziato, da parte della competente commissione del Consiglio nazionale, con la proposta di ridurre il limite salariale per consentire l’obbligo assicurativo al II Pilastro anche ai lavoratori dipendenti che guadagnano dei bassi salari e chi lavora a tempo parziale. Si è, poi, proseguito proponendo di ridurre progressivamente (dal 7,2 al 6,8 per cento) il tasso di conversione in rendita del capitale di vecchiaia a causa dell’aumento della speranze di vita dal 1985 ad oggi. La polemica è esplosa feroce, come detto prima quando, all’inizio dello scorso mese di luglio, il Consiglio federale ha annunciato l’intenzione di abbassare, dal 4 al 3 per cento, a decorrere dal prossimo 1° ottobre 2002, il tasso di interesse minimo sui capitali di vecchiaia. È colpa dei mercati Alla base di quest’ultima decisione è l’attuale andamento del mercato dei capitali che non consente più – secondo gli assicuratori – di poter garantire un tasso di interesse del 4 per cento, per cui «non porvi immediatamente un rimedio – secondo il parere del Consiglio federale –, sarebbe estremamente pericoloso per le compagnie di assicurazione che potrebbero addirittura vedersi costrette a ritirarsi dal settore della previdenza professionale», con le prevedibili conseguenze negative che ne deriverebbero per tutti, non da ultimo anche per gli stessi lavoratori assicurati. A detta dei bene informati, ci sarebbero state delle forti sollecitazioni, peraltro negate dai diretti interessati, della potentissima lobby delle compagnie di assicurazione private che gestiscono le Fondazioni collettive del II Pilastro per un importo di circa 130 miliardi di franchi (circa 89 miliardi di euro), di oltre 1 milione e 200 mila assicurati impiegati in circa 150 mila piccole e medie imprese, che non sono in condizione di permettersi delle Casse pensioni aziendali. Queste ultime sono meno sollecitate dai corsi dei mercati perché la loro attività è concentrata in un unico settore. Non ci sono, infatti, rischi che gli utili non vengano usati a beneficio degli iscritti non avendo altra attività se non quella di previdenza. Non è così per le Fondazioni collettive (assicurazioni private) che oltre agli assicurati Lpp, si occupano di ramo vita e altri investimenti finanziari. In primis partecipazioni in banche e altri settori che vanno dal risparmio gestito all’immobiliare. Inoltre, l’obiettivo principale è la massimizzazione dei profitti a vantaggio degli azionisti e dei manager. Scarsa trasparenza Nelle ultime settimane due compagnie attive nel II pilastro hanno cercato di far chiarezza – con scarso successo – sulla gestione degli averi di vecchiaia degli ultimi 17 anni. La prima è stata la Rentenanstalt/Swiss Life, seguita dalla Winterthur Life & Pensions. Tutte e due hanno dichiarato che più del 90 per cento dei redditi ricavati dai capitali del II pilastro sono andati a beneficio degli assicurati. Inoltre entrambe hanno confessato di avere ottenuto rendimenti superiori al 4 per cento (mediamente il 5,6 per cento) ma allo stesso tempo affermano che le riserve si sono praticamente dissolte al sole dei mercati finanziari. La Winterthur confessa tranquillamente che dei 3,9 miliardi di franchi di riserve accumulate fino al 1997, se ne ritrova meno di 900 milioni, di franchi! Che fine hanno fatto gli altri 3 miliardi? Sciolti come neve al sole a seguito del cattivo andamento dei mercati valutarî. Segno che quelle riserve erano solo virtuali. Non realizzate. Ora, candidamente, ammettono di voler trasferire buona parte degli investimenti verso titoli esenti da rischi come le Obbligazioni delle Confederazione. La domanda nasce spontanea: come mai non l’hanno fatto prima visto che avevano un obiettivo minimo (4 per cento) – non rischioso –, fissato dall’autorità federale? Era, per caso, troppo comodo disporre, facilmente, di ingenti capitali (degli assicurati!) per i loro affari? Il taglio delle pensioni tocca pure gli immigrati Anche l’Ital di Zurigo (Istituto tutela e assistenza lavoratori italiani) prende posizione sulla questione della riduzione del tasso tecnico dei fondi del II pilastro. Dino Nardi, presidente dell’Ital, in un comunicato stampa ne spiega i motivi. «Chi, tra i più anziani (emigrati, ex emigrati, frontalieri) non ricorda la veemente lotta politica che si ebbe in Svizzera alla fine degli anni Sessanta tra i fautori (il centrodestra, gli istituti bancari e le grosse compagnie di assicurazione private) e gli avversari (sindacati e partiti della sinistra) della legge sulla previdenza professionale, rifiutando, nel contempo, la proposta di legge che intendeva istituire in Svizzera una unica pensione pubblica, potenziando l’Avs? Chi non ricorda, ancora, che il nuovo sistema previdenziale impostato sui tre pilastri (Avs, previdenza professionale, previdenza privata) ci mise comunque ben tre lustri per poter entrare in vigore (1985)?» Oggi, a distanza di oltre diciassette anni dalla sua entrata in vigore, si discute, ancora una volta animosamente, di una revisione della legge sulla previdenza professionale. Per comprendere meglio cosa stia accadendo è utile ricordare che la legge del 1985 e le relative ordinanze, tra l’altro, stabilirono: a) l’obbligatorietà dell’assicurazione solo per i lavoratori dipendenti con un salario annuo superiore all’importo minimo della rendita Avs (nel 2002 fr. 24'720); b) nel 7,2 per cento l’aliquota di conversione in rendita annua del capitale di vecchiaia; c) un tasso di interesse annuo minimo sul capitale della cassa pensione fissato dal Consiglio federale che con una sua ordinanza, indicò nel 4per cento. «Ovviamente – continua il comunicato – può essere condivisibile che oggi, visto la situazione economica mondiale, sia difficile garantire un rendimento del 4 per cento da parte di chicchessia». La questione, però, è un’altra. Capire perché questo problema l’abbiano solo le compagnie di assicurazione e non anche le Casse pensioni autonome. La spiegazione che viene data è semplice: mentre le Casse pensioni autonome hanno gestito con oculatezza i capitali incassati ed hanno utilizzato al meglio i forti profitti ricavati negli anni novanta, e tutto a beneficio esclusivo degli assicurati, le compagnie di assicurazione non hanno fatto altrettanto. La mancanza di trasparenza delle compagnie assicurative è un fatto grave. Qualcuno avanza anche l’ipotesi che dei notevoli profitti ottenuti dalle compagnie di assicurazione durante gli anni ’90, se ne siano avvantaggiati unicamente gli azionisti. «La grande manifestazione nazionale di domani – conclude il comunicato – è quindi sostenuta anche dalle organizzazioni degli emigrati con, in prima fila, quelle rappresentative della comunità italiana».

Pubblicato il

30.08.2002 03:30
Generoso Chiaradonna