Dazi, controdazi e marce indietro : l’economia mondiale, e anche quella svizzera, è nel panico mentre i mercati azionari sono in fibrillazione a seguito delle decisioni e dei cambi d’umore del presidente americano Donald Trump. Per avere una prospettiva sindacale della situazione abbiamo posto qualche domanda a Daniel Lampart, economista dell’Unione sindacale Svizzera (USS). Daniel Lampart, quale è stata la sua reazione di fronte ai dazi annunciati dal presidente americano? In generale i dazi sono certamente un problema per l’economia svizzera, soprattutto per quei settori volti all’esportazione. Non bisogna però drammatizzare troppo la situazione come ho invece letto sui giornali. Bisogna considere i dati e analizzare la situazione. E cosa dicono i dati? Dicono ad esempio che una parte importante delle esportazioni svizzere sono prodotti farmaceutici i quali non dovrebbeo essere interessati dai dazi doganali. Inoltre va detto che non è la prima volta che Trump impone dei dazi. Lo aveva già fatto sulle importazioni cinesi nel 2018. Ora, quella situazione è stata studiata approfonditamente dagli economisti ed è stato dimostrato che le tariffe doganali, di fatto, non sono state pagate dalle aziende cinesi, bensì dai rivenditori e dai consumatori americani. Pensa che le imprese svizzere possano quindi assorbire il colpo dei dazi, qualora essi dovessero diventare effettivi? Gli esportatori svizzeri hanno una migliore posizione rispetto alle aziende cinesi perché sono orientati verso prodotti di qualità difficilmente sostituibili. Penso quindi che la questione dei dazi, anche in questo caso, la pagheranno soprattutto i cittadini e le cittadine statunitensi mentre le imprese svizzere, nella maggior parte dei casi, saranno in grado di assorbire eventuali costi suplementari. L’attitudine prudente del Consiglio federale è quindi giustificata? Penso che la Svizzera non debba lasciarsi trasportare in una guerra commerciale e una serie di spirale di rappresaglie doganali. Per questo abbiamo chiesto al Consiglio federale d’impegnarsi con altri partner commerciali come l’Unione europea o il Canada in favore di una politica commerciale equa e senza dazi. Inoltre sono dell’opinione che il Governo debba dialogare con l’amministrazione americana e fare capire quali siano gli atout della Svizzera. Come misura interna abbiamo invece chiesto al Consiglio federale di estendere la disoccupazione parziale da 18 a 24 mesi per venire incontro a quelle aziende che dovessero invece trovarsi in difficoltà. Che dire invece della Banca nazionale, in un contesto in cui il franco svizzero è sempre più forte? In teoria, il franco avrebbe dovuto deprezzarsi rispetto al dollaro per compensare il peso dei dazi. In realtà non è andata così. La BNS dovrebbe sostenere attraverso una politica monetaria accurata la svalutazione del franco per attennuare le conseguenze negative sulla Svizzera. Pensa che il padronato approfitterà della situazione per tenere al ribasso i salari e chiedere diminuzioni d’imposte? Senz’altro. Per questo occorre stare attenti. La miglior epolitica industriale ed economica è quella che investe nei lavoratori. Se ce ne fosse bisogno occorre ribadire che abbiamo bisogno di buoni salari, buone condizioni di lavoro e di una buona formazione. Solo così l’economia svizzera resterà al riparo dagli umori del presidente americano. |