Non è una riforma per le imprese

Si chiama "Riforma II dell'imposizione delle imprese", ma avrà effetto soprattutto per 40-60 mila contribuenti (persone e non aziende) che si vedranno abbassare in maniera importante il carico fiscale sui dividendi. A dirlo non è solo il comitato rosso-verde che – insieme ad Unia (1), all'Unione sindacale svizzera (Uss) e ad altre associazioni – ha lanciato il referendum contro il progetto di legge, ma la stessa amministrazione federale che ha dato il mandato ad una commissione di esperti di analizzare gli effetti della riforma. L'obiettivo del progetto di legge approvato dalla maggioranza borghese nelle camere e nel governo vuole formalmente evitare la "doppia imposizione" che tocca le società a capitale che sarebbero così svantaggiate per rapporto alle società per persone. Le società capitalizzate sono – a detta dei partigiani della riforma – penalizzate poiché vengono tassate una prima volta sull'utile conseguito e successivamente anche sui dividendi distribuiti, mentre le società per persone solo sull'utile.
La proposta scaturita dal Consiglio federale consisteva in un'imposizione dell'80 per cento del dividendo distribuito lasciando quindi il 20 per cento esente. Il disegno di legge, una volta passato al Nazionale, vuole invece addirittura lasciare esente il 40 per cento. Tuttavia, come ammesso fra le righe nella documentazione ufficiale, il reale motivo della riforma non è quello dell'ingiustizia fiscale (che in realtà non rappresenta un problema), ma ancora una volta quello della competitività fiscale della piazza elvetica.  "Per un paese povero di risorse naturali, la competitività fiscale riveste una notevole importanza ai fini della crescita e dell'occupazione", si legge in uno dei comunicati stampa del Dipartimento federale delle finanze. Ma è davvero così? Sgravando i dividendi i soldi risparmiati dai grossi azionisti verranno realmente reinvestiti nelle imprese? L'abbiamo chiesto a Daniel Lampart, capo economista dell'Uss, che ci spiega le ragioni dei referendisti.

"Meno 2 miliardi di entrate"

Daniel Lampart l'Unione sindacale svizzera fa parte del comitato referendario contrario alla seconda riforma dell'imposizione delle imprese. Una riforma che si dice dovrebbe rilanciare la competitività delle imprese elvetiche lasciandogli a disposizione più capitale.

L'argomentazione del fronte borghese sull'effetto "rilancio economico" della riforma è davvero  debole. Questa riforma secondo noi non solo non è necessaria per la salute dell'economia elvetica,  ma è addirittura dannosa.
Per quale ragione?
I parlamentari borghesi dicono che le imprese elvetiche  hanno bisogno di più capitale  e che con l'abbassamento dell'imposizione sui dividendi si metterà  a disposizione delle aziende nuova linfa. Oltre a ciò – affermano – si favorirebbe così anche le giovani imprese che hanno bisogno di capitale per crescere. Ma queste argomentazioni  sono inveritiere. Il problema delle industrie elvetiche  non è la mancanza  di capitale. Ogni anno la Svizzera  esporta ben 60 miliardi che vengono investiti all'estero. Non manca capitale nel circuito economico del nostro paese. Si dovrebbe piuttosto discutere dell'accesso a questi capitali per le imprese piuttosto che della loro scarsità. Esonerare una parte dei dividendi distribuiti non vuole affatto dire che questo denaro verrà rimpiegato nell'azienda. Anzi, questi soldi finiranno sul conto risparmio dei pochi beneficiari di questo esonero.
Di cosa avrebbero bisogno le imprese elvetiche?
Togliere dalle casse pubbliche della Confederazione, dei Cantoni e dell'Avs dagli 1 ai 2 miliardi di franchi all'anno (dipende in quale misura i cantoni applicheranno la riforma, ndr) significa mettere in difficoltà la società e di conseguenza la sua economia. In Svizzera dobbiamo migliorare le infrastrutture, puntare sulla formazione e sull'offerta di asili nido. Anche queste sono delle misure concrete per promuovere l'economia, non solo i selvaggi alleggerimenti fiscali. Avere meno due miliardi di entrate all'anno significa mettere in pericolo questi aspetti che sono fondamentali anche per il buon funzionamento dell'economia.
D'accordo. Ma come giustificare la doppia imposizione? Alcune imprese vengono tassate una prima volta sull'utile e poi di seguito si colpisce nuovamente chi ha investito in quell'azienda e ne ha ricevuto un dividendo.
Anche questo è un falso mito. I partigiani dell'imposizione parziale dei dividendi dicono di voler salvaguardare gli interessi delle imprese per capitali per rapporto alle imprese di persone. Queste ultime non sono infatti colpite dalla doppia imposizione. Lo stesso Consiglio federale, ma anche una Commissione indipendente di esperti, ha concluso che su questo punto non esiste una reale necessità di agire. Non siamo solo noi a dirlo. La doppia imposizione esiste solo dopo che i dividendi sono stati distribuiti. Generalmente le imprese sane conservano il 30 per cento dell'utile per investimenti futuri, un capitale tassato una sola volta.
Chi sono i beneficiari della seconda riforma dell'imposizione delle imprese?
Bisognerebbe cambiare il nome a questa riforma. Perché in realtà non è una riforma per le imprese, ma per una ristretta cerchia di proprietari d'impresa. Si tratta di un alleggerimento fiscale per una ristretta cerchia di persone, non per le imprese. Secondo le stime dell'Amministrazione federale questo esonero avrà una ripercussione per 40-60 mila contribuenti, persone fisiche e non giuridiche. I contribuenti devono possedere almeno il 10 per cento di un'impresa per potersi giovare dell'esonero dell'imposizione sui dividendi. Quindi si tratta di avvantaggiare non il piccolo azionista, o l'impresa ma chi la possiede. Si tratta di 40-60 mila contribuenti ricchi. Ci saranno pesanti ripercussioni non solo per le casse della Confederazione e dei Cantoni ma anche per l'Avs. La strada della competitività fiscale sta mettendo tutti contro tutti. Ci sono Cantoni che hanno già adottato l'esenzione per i dividendi. La quota dell'imposizione parziale a Glarona è addirittura del 20 per cento, a Svitto del 25 per cento, ad Argovia e Uri del 40 per cento.
Quali saranno le ripercussioni per l'Avs?
Il Consiglio federale ha stimato una diminuzione delle entrate  Avs per una cifra intorno ai 150 milioni all'anno. Si tratta di una stima molto prudente. I proprietari d'impresa approfitteranno dei vantaggi fiscali sui dividendi per versare meno salari a sé stessi e a chi li sta vicino. Questo perché sui dividendi non si pagano contributi Avs. Non è affatto irrealistico prevedere che i più "furbi" in futuro creeranno delle società fantasma al solo scopo di versare meno all'Avs. Così ci saranno cittadini facoltosi che potranno sottrarsi all'obbligo del finanziamento solidale dell'Avs, un fatto per noi inammissibile ma che con questa riforma viene di fatto legalizzato.
Come giudica la fiscalità per le imprese in Svizzera?
Il Consiglio federale e la maggioranza borghese in Parlamento vogliono farci credere che la Svizzera ha un problema di competitività fiscale. Non è vero. Nel confronto internazionale siamo sempre fra i primi. Se si guarda complessivamente le condizioni siamo attrattivi, sempre fra i più vantaggiosi. L'Unione sindacale svizzera guarda con preoccupazione questa riforma perché a nostro avviso è una prima – importante – tappa di un vasto programma di alleggerimento fiscale per i contribuenti facoltosi. Avenir Suisse, il laboratorio di idee di Economiesuisse, chiede infatti da tempo con insistenza l'adozione di un'imposta "duale". Vogliono in sostanza che il capitale e i suoi frutti vengano fiscalmente privilegiati per rapporto al lavoro e ai salari. Hans Rudolf Merz ha già promesso di esaminare questa rivendicazione. Sono anni che il fronte borghese si è messo su una strada pericolosa e vuole continuare a percorrerla a testa bassa. È dal 1990 che si è innescato questo trasferimento fiscale.
Dal lavoro verso il capitale?
Io direi piuttosto fra chi ha non ha margini di manovra e chi ne ha. Cioè fra chi può potere contrattuale con le autorità fiscali che non ne ha. Dal 1990 ad oggi le imposte dirette per i salari bassi sono aumentate mentre i ricchi hanno avuto il beneficio di diversi sgravi. Allo stesso tempo anche le imposte indirette sono cresciute. Nel 1995 è stata introdotta l'imposta sul valore aggiunto, è aumentata quella sul tabacco, eccetera. Non solo. Le assicurazioni sociali sono sotto pressione e ad esempio il contributo per i salariati all'assicurazione disoccupazione è aumentata. Sono cresciuti i premi delle casse malati e le spese a carico dell'assicurato sono cresciute. Tutto questo processo si è ripercosso su chi non può reagire che vengono imposti al 100 per cento sulle loro entrate.

Pubblicato il

27.04.2007 01:30
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