No-global in chiaroscuro

Il movimento altermondialista sembra avere un po’ il fiato corto, almeno in Europa. Lontani sono i fasti del Forum sociale europeo di Firenze, nell’autunno del 2002, che appare oggi come il vertice della parabola partecipativa, sia in termini di quantità che di qualità. Da allora in particolare in Svizzera s’è registrato una progressiva perdita di velocità e d’incisività del movimento, passato attraverso le feroci polemiche successive ai violenti scontri delle manifestazioni anti-Wef del gennaio 2003, alle marginali violenze del G8 di Evian nel giugno successivo e all’insuccesso (almeno in termini di partecipazione) del Forum sociale svizzero di Friburgo (ottobre 2003). Certo le violenze sono sempre state opera di gruppi e individui fortemente minoritari, ma l’incapacità di gestirle da parte dei responsabili del movimento se non addirittura a volte la malcelata simpatia per i loro autori hanno contribuito in poco tempo a tener lontani dalla piazza sempre più cittadini ed organizzazioni (in particolare partiti e sindacati) che pure simpatizzano per la causa no-global. Questa incapacità del movimento in Svizzera a darsi finora un’organizzazione credibile ed affidabile a lungo termine è la principale causa dell’insuccesso in termini numerici della manifestazione di sabato scorso a Berna contro il Forum economico mondiale (Wef) di Davos (che pure, per come s’è svolta, ha saputo suscitare non poche simpatie). Lo spropositato e grottesco apparato poliziesco messo in piedi dalla città, con scene da dittatura latinoamericana, spiega solo in parte la diserzione della piazza da parte del “popolo di sinistra”. Ciò non toglie che l’enorme dispiegamento di forze di sicurezza nelle strade della capitale con un atteggiamento manifestamente intimidatorio (che area racconta alle pagine 4 e 5) è inaccettabile in quanto, per estensione e modalità d’intervento, è andato oltre ogni ragionevole necessità di tutela dell’interesse pubblico, sfociando in una criminalizzazione preventiva di tutti i partecipanti alla manifestazione che fa a pugni con la libertà d’espressione. D’altro canto, che si svolga a Porto Alegre o a Mumbai, non può non stupire il sempre enorme successo di partecipazione popolare del Forum sociale mondiale (Fsm), nato in aperta antitesi all’elitarismo del Wef davosiano per dare visibilità agli interessi della società civile soprattutto nei paesi poveri. Se per qualche partecipante europeo il Fsm si riduce progressivamente a rito, per i colleghi del Sud del mondo esso corrisponde pienamente ad un bisogno di scambio di esperienze, di messa in relazione, di elaborazione di alternative. Dalle nostre parti invece difficilmente il movimento riesce ad andare oltre l’analisi pertinente e la puntuale contestazione per elaborare proposte concrete, praticabili, di reale alternativa. Insomma, è come se i popoli del Sud del mondo avessero più bisogno del movimento di quanto non ne abbiamo noi, anche perché sentono sulla loro pelle con più drammaticità gli effetti della globalizzazione. Ma anche a noi farebbe bene un movimento più credibile.

Pubblicato il

28.01.2005 00:30
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