Superato lo shock iniziale, arriva la reazione collettiva nel dar corpo e voce all’opposizione ad una proposta governativa “insensata”. Una risposta nata dal basso, da cittadine e cittadini indignati dalla misura di divieto assoluto di adozioni internazionali formulata dal Consigliere federale Beat Jans, fatta propria dal governo a fine gennaio. Tempo due settimane e, mercoledì sera ad Agno, centosessanta persone hanno formalmente costituito l’associazione “Gruppo adozione famiglie Svizzera” (Gafs), composta in gran parte da ticinesi, ma con svariate decine di adesioni dalla Romandia e dalla Svizzera tedesca. «Tutto nasce da un gruppo di famiglie che già si conoscevano e si frequentavano per aver intrapreso un percorso simile» spiega Tristana Martinetti della neonata associazione. «Dopo aver reagito di pancia individualmente sui social, è emersa la necessità collettiva di costituirci in associazione per esprimere la nostra opposizione al divieto assoluto di adozioni internazionali. Siamo consapevoli che debbano essere prese tutte le precauzioni necessarie per evitare i casi di abusi verificatisi tra gli anni settanta e novanta, ma vietare tout court ogni possibile adozione, non è certamente la soluzione».
Il governo ha giustificato il divieto assoluto col fatto che qualsiasi misura non potrebbe escludere un eventuale abuso. Un’assurdità, a detta di molti osservatori. «È come se decidessimo di chiudere le chiese perché ci sono stati degli abusi di carattere sessuale» aveva commentato su Ticinonews l’ex consigliere di stato Manuele Bertoli, padre di una bimba adottata. «Nessuno di noi mette in dubbio il rapporto sugli abusi o il dolore vissuto dai ragazzi che ne sono stati vittime – chiarisce la rappresentante dell’associazione - Ma vietare in modo assoluto le adozioni internazionali, non è certamente la soluzione».
L’associazione, strutturata a livello nazionale, ha quale scopo principale quello di farsi ascoltare dal mondo politico federale prima che la misura sia adottata. «Nel gremio di esperti scelto dal governo, abbiamo avuto la netta sensazione che sia mancata la voce delle famiglie adottive. Eppure sono proprio queste ultime ad essere esperte in materia, avendo vissuto in prima persona l’intero percorso di adozione sia in Svizzera che nei paesi di provenienza dei ragazzi. Una procedura dai tempi molto lunghi, tra i quattro e i cinque anni, ed estremamente dettagliata, proprio per evitare gli abusi del passato» spiega la nostra interlocutrice, che aggiunge: «Oggi i ragazzi arrivano all’adozione internazionale dopo che qualsiasi possibilità di sviluppo e di crescita per loro nel paese d’origine è stata esclusa». Negarne la possibilità, equivale a negar loro una prospettiva di futuro, conclude Martinetti. Molti genitori o figli adottivi si sono sentiti feriti dal messaggio governativo, quasi dovessero sentirsi colpevoli di un gesto d’amore. «Per le famiglie in procedura avviata, per quelle che l’hanno già conclusa, per le ragazze e i ragazzi, la notizia del divieto assoluto ha creato sconcerto e smarrimento» spiega ancora Martinetti. «Abbiamo l’impressione che sia stato banalizzato l’aspetto umano della vicenda. Fa male sentir dire: “sono solo trenta casi l’anno”. Stiamo parlando di trenta esseri umani e altrettante famiglie coinvolte. Non si può ridurre la questione a dei semplici numeri. Dietro ci sono dei bambini e delle persone in carne ed ossa», conclude. Grazie alla nuova associazione, la voce collettiva arriverà ora forte e chiara a Berna. Per chi volesse aderirvi o sostenerla, è possibile contattarla all’indirizzo di posta elettronica gafsadozione@gmail.com |