Niente invasione polacca

A rileggere oggi gli articoli pubblicati dalla stampa tedesca alla vigilia dell’allargamento ad Est dell’Unione europea viene da sorridere. Degli scenari catastrofici delineati nei mesi precedenti il primo maggio 2004 poco o niente si è avverato. La Repubblica federale non è stata presa d’assalto da orde di lavoratori a basso costo provenienti da Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia, liberi di insidiare il posto di lavoro ai tedeschi grazie agli accordi sulla libera circolazione. I lavoratori dell’Est, infatti, in Germania c’erano già prima di quella data e con loro anche il dumping salariale. Lo spettro dell’idraulico polacco – che nei mesi scorsi ha contribuito persino alla bocciatura della Costituzione europea in Francia e Olanda – non è un’invenzione dei giornalisti e dei politici tedeschi, ma, alla prova dei fatti, non sembra avere legami diretti con l’allargamento a Est dell’Unione. Idraulici polacchi, muratori slovacchi e donne delle pulizie ceche (tanto per arricchire l’iconografia del caso) in Germania ce ne sono da anni a decine di migliaia e svolgono, per lo più, lavoro nero. Per loro l’entrata dei rispettivi paesi nella Ue non ha modificato in nulla condizioni di lavoro e retribuzioni. Sfruttati erano e sfruttati rimangono. Vengono pagati meno di un terzo del minimo contrattuale e lavorano fino a 70 ore settimanali. I loro datori di lavoro sono, nella maggior parte dei casi, piccole imprese polacche, ceche o slovacche che ricevono contratti in subappalto da aziende tedesche. I controlli effettuati dalla polizia sui posti di lavoro raramente portano a risultati concreti, visto che, oltretutto, le pene previste per l’impiego in nero di personale (più che altro sanzioni amministrative) non sono in grado di spaventare gli imprenditori. Uno scenario allarmante, insomma, ma che non costituisce una novità. L’afflusso di manodopera dall’Est verso la Germania è cominciato già nei primi anni ’90, subito dopo il crollo del socialismo reale. Che l’allargamento europeo non sia all’origine della concorrenza a basso costo proveniente dall’Est lo dimostra il fatto che, assieme a polacchi, ungheresi e cechi, a ingrossare le fila dei lavoratori in nero in Germania concorrono anche ucraini, russi e rumeni, i cui paesi, ancora, non fanno parte dell’Unione. In molti sostengono che, se la temuta invasione non ha avuto luogo, ciò è da ricondurre alla scelta della Germania di dilazionare nel tempo l’apertura del proprio mercato del lavoro e l’applicazione degli accordi sulla libera circolazione, offrendo solo a contingenti limitati di lavoratori dell’Est un’occupazione sul territorio federale. Si tratta in pratica del cosiddetto “modello 2+3+2”, vale a dire un blocco temporaneo degli arrivi dai nuovi paesi Eu. Prima di due anni per tutti i settori lavorativi, poi, eventualmente, di tre ulteriori anni per alcuni settori specifici ed infine, solo in casi particolari e dietro autorizzazione della Commissione europea, per un altro biennio ancora. Dopo sette anni al massimo, però, i mercati del lavoro di ogni paese vanno aperti a tutti i cittadini europei. La Germania ha applicato la prima proroga di due anni, fino al 30 aprile 2006, e si riserva di chiedere un ulteriore blocco triennale per i settori occupazionali maggiormente in crisi, come quello edilizio. L’invasione, e con essa la legalizzazione del dumping salariale, è, insomma, solo rimandata di qualche anno? Molto probabilmente neanche nel 2011, data di scadenza del 2+3+2, assisteremo ad esodi di massa dalla Polonia e dagli altri paesi dell’Est verso la Germania. Lo smantellamento del welfare tedesco proseguirà per volontà politica e disegno economico, ma certo non perché lo Stato tedesco sarà costretto a pagare il sussidio a milioni di polacchi, trasferitisi in massa al di qua dell’Oder per approfittare della generosità tedesca. Chi sostiene tali assurdità dimentica che, anche una volta terminato il 2+3+2, chi dall’Est si trasferirà in Europa occidentale, per almeno i primi cinque anni di residenza, dovrà dimostrare di essere in grado di mantenere sé e i propri familiari. Inoltre basta guardare a paesi come la Gran Bretagna e l’Irlanda che, anche non applicando il 2+3+2, non sono stati certo presi d’assalto dai lavoratori dell’Est. Per convincersi che non ci saranno invasioni, basta poi leggere alcuni dati statistici riguardanti il periodo ottobre 2004-marzo 2005. In questo arco di tempo Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e i Paesi baltici insieme non sono riuscite a fornire i pur modesti contingenti di lavoratori messi loro a disposizione dall’economia tedesca. Un ulteriore segnale di controtendenza, rispetto ai timori di un’invasione dall’Est, è dato dal mancato aumento del numero di piccoli imprenditori e liberi professionisti dell’Europa orientale attivi in Germania. Per loro il 2+3+2 non è stato applicato, eppure, anche in questo settore, dal maggio 2004 non si sono verificate trasformazioni degne di nota. Entrambi questi dati risultano ancora più chiari alla luce del boom economico in atto in gran parte dell’Europa orientale (l’economia tedesca sta investendo enormi capitali in quei paesi) e del basso tasso di disoccupazione che ne deriva. Solo i salari, pur crescendo, continuano ad essere notevolmente inferiori rispetto a quelli dell’Europa occidentale. Non a caso il lavoro nero a basso costo in Germania viene fornito, per lo più, da stagionali polacchi, cechi e slovacchi che in un paio di mesi nei cantieri tedeschi guadagnano l’equivalente di un salario di un anno nei loro paesi d’origine. In questo senso non serve prendersela con la libera circolazione europea e non basta nemmeno estendere il salario minimo, già vigente in edilizia, anche agli altri settori produttivi, come proposto dal governo rosso-verde. Per prosciugare la palude del lavoro nero servono leggi più efficaci che colpiscano duramente i responsabili dello sfruttamento a vario livello: dalle piccole aziende subappaltatrici straniere alle grandi imprese tedesche che dal lavoro a basso costo traggono profitti elevatissimi. • 500 mila è la cifra stimata dei lavoratori illegali presenti in Germania, ma c’è chi parla di quasi un milione. Sono soprattutto stagionali polacchi, cechi e slovacchi. I settori in cui trovano maggiormente impiego sono l’edilizia, la ristorazione, l’agricoltura e i lavori domestici. • 3 Euro è la retribuzione media nei cantieri tedeschi per un’ora di lavoro in nero. Il salario medio dei colleghi tedeschi varia da 10 a 12 Euro all’ora a seconda delle aree geografiche. • 14 mila è il numero dei lavoratori polacchi cui la Germania offre ogni mese un contratto di lavoro a termine sul territorio federale. Nel periodo ottobre 2004-marzo 2005 la Polonia è riuscita a soddisfare questo contingente solo al 75 per cento. Negli altri nuovi membri della Ue il disinteresse verso tale offerta è ancora più evidente.

Pubblicato il

02.09.2005 03:00
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