Nestlé costretta a produrre

Suona come l’incubo di ogni manager. Un giudice francese obbliga i potenti boss di Nestlé a Marsiglia a produrre contro la loro volontà cioccolato e caffè – almeno provvisoriamente. I manager avevano chiuso la fabbrica con i suoi 427 dipendenti senza tanti complimenti: dicevano che le sue capacità produttive non erano sfruttate a sufficienza. Così facendo avevano però violato i diritti di codecisione delle maestranze in caso di licenziamenti per motivi economici. Un problema che si pone anche in Svizzera, ad esempio con la chiusura degli stabilimenti Lego o con la vendita da parte di Rewe a Denner di Pick Pay e Usego. Anche in Svizzera c’è l’obbligo di consultare i dipendenti: ma in caso di violazione di questo dovere le conseguenze per i datori di lavoro sono molto meno pesanti che in Francia. Il caso Nestlé è esemplare. All’entrata degli stabilimenti Nestlé Saint-Menet, situati alla periferia orientale di Marsiglia, ci sono striscioni con slogan combattivi e una bandiera sindacale. Altrimenti nulla lascerebbe credere che qui Nestlé, contro la sua volontà, sta producendo cioccolato (Crunch, Kit-Kat), caffè solubile e surrogati del caffè. Un lavoratore, Laurent Pape, ci riassume la situazione come la vede lui: «questa fabbrica rende. Eppure la vogliono chiudere per produrre altrove a più basso costo. Hanno già aperto diverse fabbriche nell’Europa dell’Est. Questa non gli serve più. E noi dovremmo finire sulla strada». Per protesta contro la chiusura le maestranze in giugno avevano occupato la fabbrica. Ma invece di mandare la polizia a scacciare gli operai ribelli, il Tribunal de grande instance ha deciso che gli stabilimenti dovevano essere immediatamente riaperti, e questo finché non si fosse definitivamente chiarito se i manager in occasione della chiusura della fabbrica avevano rispettato tutte le norme del diritto del lavoro (vedi intervista sotto). Sindacati e lavoratori dicono ad area che la sentenza è «una grande vittoria». Ed Elise Brand, l’avvocata degli operai, commenta: «questa decisione è un chiaro segnale ai manager che in Francia è illegale chiudere un’impresa in questo modo». I manager di Nestlé sono di poche parole: «rispettiamo la decisione della giustizia, ma questo non significa che rinunciamo al progetto di chiudere lo stabilimento», dice imbronciato Luc Alemany, uno degli avvocati di Nestlé. Nessuno dubita che si tratta di una vittoria spettacolare per i dipendenti di Nestlé Saint-Menet. Ma non c’è euforia. Il sindacalista Jean-François Molina è convinto: «qui vogliono chiudere tutto ed evitare che ci possa essere concorrenza con i loro prodotti». Nell’ufficio della Cgt (Confédération générale du travail, il sindacato comunista) si prepara già per la prossima manifestazione. La sua diffidenza è motivata: i manager di Nestlé per mesi avevano rifiutato categoricamente di parlare con investitori interessati all’acquisto. Avevano in mente di smantellare gli impianti di produzione e di insediare dei giovani imprenditori sul sedime della fabbrica. Dopo la sentenza Nestlé s’è improvvisamente detta disposta a vendere per un euro simbolico «la parte non strategica della produzione». Ma Jean-Pierre Carli, direttore generale di Nestlé France, lascia intendere che preferirebbe non vendere quando dice che «un eventuale acquirente deve essere credibile. Ma è difficile, perché il mercato è in perdita di velocità e i nostri concorrenti sono nella nostra stessa situazione». Gli operai sono scettici. Uno di loro, Sebastien Jouet, commenta: «Non so se ci sia questo “acquirente credibile”. È una farsa. Credo che Nestlé finga di voler vendere: in realtà vogliono chiudere». Il collega Abdou Chenin annuisce: «Non ho più fiducia nel management. Chiuderanno, Nestlé vuole produrre altrove». Intanto i giornali economici se la prendono con “i giudici che s’immischiano nel management”. La sentenza sarebbe “devastante” per la piazza economica francese. In effetti non è la prima volta che la giustizia francese mette i bastoni fra le ruote ai manager. Soltanto in marzo un giudice di Nîmes aveva proibito a Nestlé Waters di fare dell’acqua minerale Perrier una filiale indipendente se prima non si fossero consultati i consigli di fabbrica come vuole la Legge sul lavoro. Per la stessa negligenza i giudici in passato avevano bloccato o procrastinato delle riduzioni di personale alla Danone (1996), alla Michelin (2001) e alla catena di grandi magazzini Marks and Spender (2001). Per attirare l’attenzione sul loro caso gli impiegati avevano rumorosamente protestato in agosto davanti al consolato svizzero. Benché a Marsiglia anche i bambini sappiano che Nestlé ha sede in Svizzera non ci sarebbe «assolutamente alcun sentimento antisvizzero», assicura il sindacalista Jean-François Molina: «sappiamo fare molto bene la differenza fra gli svizzeri e la Nestlé». “Vivere e lavorare a Marsiglia” sta scritto a caratteri cubitali sulla fabbrica. Perché questo sia ancora possibile occorre però trovare un acquirente che vada bene a Nestlé. I sindacati dicono che ci sarebbero già tre interessati. Ma Nestlé vuole che la produzione continui soltanto nel settore del cioccolato, chiudendo quella del caffè e dei surrogati del caffè. In questo modo si perderebbe circa la metà dei posti di lavoro. «non lo permetteremo mai», dice Molina. «Vogliamo salvare tutti i posti di lavoro». Ma il tempo stringe: il termine per trovare un acquirente scade il 4 ottobre Una multinazionale scorretta L’avvocata Elise Brand, 34 anni, di Caen in Normandia, con il processo Nestlé è diventata una celebrità nazionale ed è assurta a simbolo della resistenza contro i manager che vogliono delocalizzare i posti di lavoro in paesi a basso costo della manodopera. Una resistenza che può essere pagante. Signora Brand, come ha potuto un tribunale francese costringere la Nestlé a riprendere la produzione nella sua fabbrica di Marsiglia? Semplice: Nestlé ha violato la Legge sul lavoro (il Code du travail). Questa prescrive che prima di licenziamenti per motivi economici dev’essere consultato e informato correttamente il comitato d’azienda, quindi la rappresentanza dei lavoratori. Questo Nestlé non l’ha fatto. Cos’ha sbagliato Nestlé? Il primo errore di Nestlé è stato di aver chiuso la fabbrica. Ma il vero problema è che i manager di Nestlé hanno nascosto i motivi della chiusura. Hanno sempre raccontato alle maestranze che la fabbrica veniva chiusa perché Nestlé aveva perso quote di mercato, specialmente in Russia. Abbiamo dimostrato che non è vero. Al contrario, Nestlé da cinque anni ha esportato parti della sua produzione da Marsiglia verso altri siti di produzione, ad esempio in Russia, in Spagna e in Portogallo. Non meraviglia quindi che la fabbrica di Marsiglia non sfruttasse appieno le sue capacità produttive. Il diritto del lavoro francese è chiaramente molto diverso da quello svizzero e assai più favorevole ai lavoratori. Come ci si è arrivati? Nel 1981 con François Mitterrand i socialisti vinsero le elezioni. Una delle sue prime grosse riforme fu la revisione del diritto del lavoro nel 1982. La legge impone la costituzione di un “comité d’entreprise” in tutte le aziende con più di 50 dipendenti. In questi comitati aziendali ci sono lavoratori e sindacalisti. E hanno un ampio diritto di codecisione. Ma questa legge a lunga scadenza non riuscirà a salvare i posti di lavoro di Marsiglia. È tutto da vedere. Intanto la fabbrica produce di nuovo. E già questa non è una piccola vittoria per i dipendenti. Prima Nestlé si era categoricamente rifiutata di esaminare eventuali offerte d’acquisto. Ora per via giudiziaria Nestlé è stata costretta ad esaminare queste offerte e a cercare un acquirente. Se lo si trova, è senz’altro possibile che questi posti di lavoro possano essere salvati. Molti dipendenti a Marsiglia temono che Nestlé finga di cercare un acquirente. Purtroppo è possibile. Ma adesso Nestlé è sotto pressione. Questa sentenza ha avuto una grossa eco nell’opinione pubblica. Ora Nestlé ha un problema d’immagine. In Francia non c’è infatti alcuna simpatia per i “patrons voyous” (i padroni delinquenti). Perfino il presidente della Repubblica Chirac li ha già criticati pubblicamente. Credo comunque che sia possibile trovare un acquirente o che Nestlé rinunci alla chiusura. Non sarebbe il primo caso simile in Francia. P.B.

Pubblicato il

30.09.2005 01:00
Peter Balzli