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Nessuno meglio di loro sa cosa c’è da fare per le cure

 “Trasformare il bello della durata della vita in un autentico progresso per la società nel suo insieme”. È un’efficace definizione di quello che significherebbe risolvere la crisi del sistema delle cure di lunga durata in Svizzera che estrapoliamo dal “Manifesto del Care”, prezioso documento recentemente pubblicato dal sindacato Unia, in cui troviamo un’impietosa e preoccupante diagnosi della situazione, ma anche tutta una serie di proposte per risolverla. Un documento elaborato a partire dalle conoscenze e dall’esperienza del personale, delle lavoratrici e dei lavoratori che quotidianamente, nelle case di cura o a domicilio, accudiscono le persone anziane, cucinano per loro, le aiutano a mangiare e a lavarsi o nelle pulizie, provvedono alla gestione dei medicamenti, le accompagnano a passeggio. Persone che si occupano insomma del loro benessere, in molti casi le sole.

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Sono figure professionali che svolgono un ruolo di primaria importanza al servizio dell’intera società (perché la malattia e l’invecchiamento riguardano tutte e tutti), ma che non ricevono il giusto riconoscimento e a cui addirittura il sistema impedisce di svolgere il lavoro come andrebbe svolto. E che a fronte di un continuo aumento dei bisogni vedono, da dentro, i problemi acuirsi. E fuori, troppo immobilismo: si pensi al poco che la politica ha saputo sin qui fare per attuare l’iniziativa popolare “per cure infermieristiche forti” plebiscitata nel 2021.

 

Eppure soluzioni ce ne sono. Le operatrici e gli operatori medico-sociali che con il sindacato e gli accademici hanno allestito il Manifesto bene le conoscono. Servono condizioni di lavoro dignitose, un’organizzazione delle cure basata sui bisogni dei pazienti e in cui ci sia il necessario spazio per le relazioni umane, un sistema di finanziamento solidale che garantisca a tutti l’accesso a prestazioni di qualità. Un sistema in cui sia lo Stato e non il privato a dettare le regole e in cui le cure non siano merce per fare profitto. Sono principi elaborati per il settore delle cure di lunga durata, ma che valgono anche per gli altri ambiti della sanità.

 

Anzi, per l’intero sistema sanitario e in particolare per il suo finanziamento, che la politica sta pericolosamente rendendo sempre meno solidale. Si pensi alla recente decisione delle Camere federali di allentare il cosiddetto “obbligo di contrarre”, un principio iscritto nella Legge federale sull’assicurazione malattie (LAMal) da cui discende la libera scelta del medico e dell’ospedale da parte del malato. Mentre oggi ogni cassa malati è tenuta a rimborsare le prestazioni di tutti i fornitori autorizzati, domani ciascuna di esse potrebbe decidere a quali sì e a quali no.

 

Alle casse malati verrebbe dato il potere di imporci da chi e dove farci curare, in base alla loro valutazione e, ovviamente, secondo criteri di “efficienza ed economicità” e a scapito della qualità e della competenza medica. Un modo per gettare i malati in una situazione di totale confusione e per spianare la strada alla medicina a più velocità, in cui chi può viene curato al meglio e chi non può si arrangia.

 

Altra è la visione che ci viene proposta dal Manifesto, le cui indicazioni su come la nostra società nel suo insieme debba affrontare la sfida dell’allungamento della vita e dell’invecchiamento della popolazione possono essere una guida valida anche oltre l’ambito sanitario. Per farsi carico di tutte le grandi questioni (si pensi alla scuola, alla giustizia, ai diritti sociali) che investono la società.

Pubblicato il

21.03.2025 09:34
Claudio Carrer
Salute

Una ricetta per curarsi delle persone e dei diritti. E non del profitto

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