L'editoriale

Quella che stiamo vivendo è una fine estate carica di incertezze: per la situazione sanitaria come per quella economica. E nella popolazione, complice la mancanza di risposte convincenti e adeguate alle circostanze, si fanno largo sentimenti di paura, di preoccupazione, di smarrimento. E anche di crescente insofferenza.


Sul fronte della pandemia, al di là della crescita del numero dei contagi a cui assistiamo da alcune settimane e dei timori che ciò può suscitare, stanno emergendo tutti i limiti della regionalizzazione (decisa in giugno dal Consiglio federale) della responsabilità nel fronteggiare la situazione: i Cantoni si muovono in ordine sparso e adottano a volte decisioni incomprensibili (si pensi a Zurigo: obbligo della mascherina nei negozi, ma non negli aeroporti, nelle stazioni e nei centri commerciali sotterranei annessi). E mentre a livello regionale si introducono restrizioni e divieti, la Confederazione cosa fa? decide di aprire gli stadi: così dal 1° ottobre al St. Jakob Park di Basilea, per esempio, potranno confluire fino a 25mila persone.

 

L’Ufficio federale della sanità pubblica sta dal canto suo accumulando gaffes e figuracce a ripetizione (dai dati sbagliati sui luoghi di contagio, all’annunciato decesso di un 30enne mai avvenuto, alla morte di una “bambina” di 9 anni che in realtà ne aveva 109) e nell’aggiornare la lista dei cosiddetti “paesi a rischio” si muove come un pachiderma, consentendo così a centinaia di persone di sfuggire alla quarantena.
Al pari delle autorità di quasi tutti i paesi europei, anche quelle elvetiche sembrano insomma navigare a vista e operare in modo confusionario e contraddittorio. È troppo facile puntare il dito, come si sta facendo, contro i giovani che, legittimamente, cercano il divertimento. Il problema sta a monte: se molti giovani si infettano nelle discoteche (dove notoriamente la distanza sociale è impraticabile) va chiesto conto all’autorità che ha compiuto l’azzardo di riaprirle.


Preoccupante è anche il quadro che si sta delineando sul fronte della grave crisi economica e sociale provocata dal coronavirus. Una crisi che il Consiglio federale sembra misconoscere, giudicando dalle sue indicazioni nell’ambito della Legge Covid-19 che sarà discussa dal Parlamento in settembre: nessuna misura per la difesa del potere d’acquisto delle persone con redditi medio-bassi, nessuna misura per limitare l’aumento della precarietà e totale libertà di licenziamento, anche per quelle imprese che beneficiano di aiuti statali e delle prestazioni straordinarie dell’assicurazione contro la disoccupazione. Questo è uno schiaffo a quasi 1 milione di persone in regime di lavoro ridotto costrette a sopportare l’insopportabile taglio del 20 per cento del loro salario e a migliaia di lavoratori vittime di imprese che con una mano prendono i soldi dello Stato e con l’altra tagliano teste e condannano intere famiglie alla povertà.

 

Pubblicato il 

31.08.20
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