Il radicale cambiamento delle modalità produttive va spesso di pari passo con il cambiamento delle relazioni nel mondo del lavoro e con la ridefinizione dei rapporti di forza. La crescente concorrenza e la ricerca dell’efficienza se non gestite correttamente nel quadro di un’organizzazione del lavoro, possono essere all’origine di tensioni. Tensioni che possono trasformarsi in quella che ormai è una vera bestia nera: il mobbing. Per comprendere di cosa si stratta e quali conseguenze il mobbing ha sulle persone abbiamo interpellato una delle migliori conoscitrici del problema, ossia la psicologa Anita Testa-Mader. Una definizione una riflessione Se c’è una parola che in questi ultimi anni ha conosciuto un’ampia diffusione questa è il mobbing. Signora Testa-Mader ma che cosa è il mobbing? Del mobbing (detto anche terrorismo psicologico sul posto di lavoro in italiano, harcèlement psychologique o moral in francese e Bullying in the Workplace in inglese) sono state date diverse definizioni, soprattutto da quando il termine si è diffuso più ampiamente ed è in parte entrato nel linguaggio «comune». Quella più classica, elaborata da Heinz Leymann, lo psicologo del lavoro tedesco che all’inizio degli anni 80 utilizzò questa parola per le sue ricerche condotte in Svezia è molto precisa e dice che è «il susseguirsi, per un periodo di oltre sei mesi, di propositi e/o atti ostili, espressi o manifestati in generale più volte la settimana, da parte di una o più persone (mobber) verso un’altra persona (vittima), che verrà quindi a trovarsi in una posizione di impotenza e mancanza di difese». Se oggi adottare dei termini temporali così precisi è considerato troppo rigido da alcuni autori, rimangono comunque validi i tre criteri enunciati da Leymann per distinguere il mobbing da altri tipi di conflitto, ossia la ripetizione, la frequenza e la durata delle azioni ostili. Lo scopo è quello di allontanare o emarginare la vittima e generalmente il mobbing si sviluppa attraverso varie fasi. Negli studi scientifici ma anche nei libri divulgativi più recenti il mobbing viene definito, a seconda dell’approccio scelto, mettendo l’accento su aspetti relazionali, ossia centrati sulle caratteristiche psicologiche di chi fa mobbing e di chi lo subisce o sulle dinamiche all’interno dei gruppi di lavoro o ancora su elementi legati al sistema produttivo. Come mai un fenomeno che gli esperti fanno risalire all’inizio dell’industrializzazione e che ha sempre caratterizzato l’ambiente lavorativo, ha acquistato «solo» ora tanta attenzione? È vero che il mobbing non è un fenomeno nuovo. Se oggi se ne parla di più è certamente grazie a una maggior consapevolezza – anche a livello «ufficiale» – che i problemi legati alla salute sul posto di lavoro (e le loro conseguenze finanziarie) non riguardano solo gli incidenti e la salute fisica. Non è certo un caso se negli ultimi due anni in Svizzera sono stati pubblicati due lavori di ricerca che hanno esaminato queste problematiche (D. Ramaciotti & J.Perriard, Les coûts du stress en Suisse, Seco, 2001; E. Conne-Perréard, M.-J Glardon, J. Parrat & M. Usel, Effets des conditions de travail défavorables sur la santé des travailleurs et leurs conséquences économiques, Conférence Romande et Tessinoise des Offices Cantonaux de Protection des Travailleurs, 2002)… Anche l’informazione (libri, televisione, giornali, internet) gioca un ruolo e spesso succede che le persone, sentendo spiegare che cosa è il mobbing, si rendano conto di aver vissuto situazioni simili senza saperlo: attribuivano infatti il loro disagio ad altri motivi, spesso a loro stesse. Infatti il sentirsi in colpa, sentirsi responsabili della situazione, è abbastanza caratteristico del mobbing. E a volte si tratta di situazioni molto dolorose, che magari si sono protratte per anni… Questo diffondersi del concetto di mobbing è certo positivo, bisogna però anche stare attenti alle banalizzazioni, ad un uso non appropriato o a un abuso del termine. Proprio per questo sono importanti momenti formativi, che sono molto richiesti: al corso recentemente organizzato dal Dipartimento di lavoro sociale della Supsi si sono iscritte oltre 70 persone e anche le assemblee sindacali su questo tema sono ben frequentate. Un fenomeno che si è accentuato In quale misura la trasformazione dei sistemi produttivi e del lavoro ha contribuito ad accentuare il fenomeno? La situazione attuale del mercato del lavoro gioca sicuramente un ruolo nel favorire situazioni di conflitto e di mobbing: la disoccupazione, la precarizzazione degli statuti, il salario al merito aumentano la competitività e aumentano la complicità passiva di colleghi e colleghe. In generale si può dire che se in passato una persona scontenta della propria attività e dell’ambiente di lavoro in alcuni casi poteva scegliere di cambiare posto, oggi questo è molto più difficile perché mancano le alternative… Il lavoro, che è principalmente una forma di sostentamento, nella stragrande maggioranza dei casi contribuisce anche a caratterizzare l’identità personale e facilita l’inserimento sociale. Insomma nella vita di una persona il lavoro occupa un posto centrale. Esiste una relazione tra l’importanza che una persona attribuisce al lavoro e l’essere più vulnerabile al mobbing? È difficile stabilire una tipologia del lavoratore o della lavoratrice più soggetti al mobbing, però è vero che a volte un ipercoinvolgimento nel lavoro può provocare reazioni di fastidio nei colleghi e nelle colleghe e inoltre non permette alla persona di prendere le distanze. Avere una vita familiare e sociale soddisfacenti può senz’altro costituire una barriera di fronte a certi tipi di stress professionale e anche di mobbing. Clima e dinamiche Quali sono sul posto di lavoro le condizioni, mi passi l’espressione, «ideali» per lo sviluppo del mobbing? Posso citarne alcune: rivalità o lotte di potere all’interno dell’azienda o dell’ufficio (con una possibile dinamica di capro espiatorio) e in generale un’atmosfera conflittuale, una cattiva organizzazione del lavoro, una direzione rigida o ambigua, funzioni non ben definite, poca discussione e incertezza su compiti e obiettivi, sovraccarico di lavoro o lavoro non interessante e senza sfide, una cattiva informazione e comunicazione all’interno dell’azienda, una gerarchia che tende a non intervenire, poco incoraggiamento allo sviluppo personale, cambiamenti organizzativi gestiti in modo autoritario. Non dimentichiamo poi che spesso sono i superiori a esercitare mobbing e che esiste una forma di mobbing (bossing) usata come strategia aziendale per espellere lavoratori e lavoratrici dall’azienda. In quale misura la personalità di una donna o di un uomo rende l’una o l’altro più esposto al mobbing? Insomma esiste l’identikit della persona «mobbata»? Si tratta di un tema molto dibattuto quando si ricercano le «cause» del mobbing. Leymann afferma che la personalità e i tratti di carattere non sono la causa del mobbing e che in condizioni sfavorevoli chiunque può diventarne vittima. Infatti la sua ipotesi era che alcune persone considerate difficili sono in realtà vittime di un processo di distruzione e non la causa delle tensioni esistenti sul posto di lavoro. Leymann stesso però indica una serie di fattori di resistenza (modi di affrontare le situazioni e risorse) che possono controbilanciare il mobbing, come ad esempio una buona costituzione fisica e mentale, la fiducia in sé e la considerazione di chi sta intorno, condizioni materiali stabili, che implicano un margine di manovra (avere delle alternative), la capacità di risolvere i problemi (non lasciarsi prendere dal panico) e la facoltà di orientarsi nella società (saper chiedere aiuto). In generale si può dire che gli studi recenti sulle cause del mobbing indagano principalmente in due aree: i fattori legati all’organizzazione e al clima di lavoro e le possibili relazioni con la personalità. In questo campo le difficoltà risultano principalmente dal fatto che anche quando nelle vittime si possono osservare dei tratti comuni, questo non vuole ancora dire che siano la causa del mobbing. Inoltre si può chiedersi che conseguenze etiche avrebbe a livello aziendale tentare di identificare queste caratteristiche psicologiche. Stress e mobbing, quale frontiera? Dove si situa la linea di demarcazione tra il «normale» stress da lavoro legato allo svolgimento degli impegni professionali che una persona si assume e il mobbing? Lo stress professionale deriva da tutta una serie di fattori legati al contenuto e ai ritmi di lavoro, al contesto, all’ambiente, e anche al modo in cui noi siamo in grado di far fronte a tutto ciò. Il mobbing, anche se le cause possono essere molteplici, si manifesta come un problema di relazione tra persone, che siano colleghi o colleghe o superiori. Può quindi a sua volta diventare un’importante fonte di stress per chi lo subisce, e non è un caso che spesso i sintomi psicosomatici siano molto simili a quelli dello stress. Le donne sono più esposte degli uomini al mobbing? In generale si dice che le donne sono solo leggermente più esposte, anche se a volte ciò può essere dovuto al fatto che si confondano mobbing e molestie sessuali (Harald Ege, ricercatore tedesco che ha studiato in modo approfondito il mobbing in Italia, afferma che il legame tra mobbing e molestie diventa sottilissimo quando il molestatore di fronte ai rifiuti passa alle minacce «se non cedi, ti renderò la vita difficile»: il mobbing punitivo diventa cioè la vendetta del molestatore respinto). Altri autori/autrici affermano che le donne vittime di mobbing sono in realtà molte di più perché lavorano spesso in ambienti dove il mobbing è praticato (amministrazioni, banche, settore sanitario ed educativo), perché sono più spesso in posizioni subordinate e forse perché sono più attente ai problemi legati alle relazioni e osano di più parlarne. A volte le vittime di mobbing sono persone in qualche modo «diverse», ad esempio per le loro idee. In questo schema può rientrare una donna che lavora in un ambiente tipicamente maschile, che fa carriera o che ha degli atteggiamenti non tipicamente femminili: può diventare una vittima di mobbing sia da parte di uomini che di colleghe. I costi sociali e individuali Al di là della sofferenza individuale, si possono quantificare i costi sociali legati al mobbing? Il mobbing comporta costi sociali importanti, anche se non facilmente quantificabili (si parla per la Svizzera di diversi miliardi l’anno). Nelle aziende bisogna calcolare, oltre alle assenze dovute a malattia e alla rotazione del personale, che vi sono costi organizzativi e costi legati al peggioramento del clima di lavoro e quindi della qualità stessa del lavoro. Secondo A. e R. Gilioli, in Germania un lavoratore sottoposto a vessazioni costa all’azienda tra i 50 e i 150 milioni di lire l’anno per le perdite dovute alle assenze, al minor rendimento , agli errori d’esecuzione. Oltre a questi costi per le singole ditte, è chiaro che vi sono costi sociali più ampi, come quelli legati alla malattia, alle assicurazioni sociali, ai pensionamenti anticipati, ai casi di invalidità,… E vorrei tornare qui alla sofferenza delle persone colpite da mobbing, che a volte, se non si riesce a rompere questa spirale al più presto, possono subirne le conseguenze per anni, sia che lascino il posto di lavoro, sia che riescano a sopportare perché non hanno alternative, rischiando di rimetterci la salute. Infatti una persona vittima di mobbing perde a poco a poco influenza, rispetto degli altri, potere decisionale, salute, fiducia in se stessa, amici, entusiasmo nel lavoro, dignità. E questo è un motivo per far sì che di questo tema si parli il più ampiamente possibile, cercando di sfatare i pregiudizi e di trovare dei mezzi per intervenire nel modo più efficace possibile. Il che, data la complessità dei fattori in gioco, non è per niente facile: credo che al di là dell’affermazione chiara della non tolleranza di atteggiamenti vessatori, umilianti, distruttivi (neanche quando la vittima ha un «cattivo carattere»), le possibili soluzioni siano da cercare tenendo conto della specificità delle situazioni lavorative e possano e debbano toccare aspetti contrattuali, giuridici, gestionali, formativi ed etici…

Pubblicato il 

21.06.02

Edizione cartacea

Nessun articolo correlato