Come spiega soddisfatto Horst Teltschik, organizzatore della “Sicherheitskonferenz”, la conferenza sulla sicurezza che da ben quarant’anni si tiene a Monaco di Baviera, quest’appuntamento, cui intervengono annualmente politici, militari, produttori e mercanti d’armi provenienti da tutto il mondo, è la «migliore occasione per saggiare il polso dei rapporti transatlantici». Se, infatti, l’edizione dell’anno passato, tenutasi alla vigilia della guerra in Iraq, era stata caratterizzata dalla dura contrapposizione tra gli Stati Uniti e i loro più stretti alleati da una parte e i rappresentanti della cosiddetta “vecchia Europa” (Germania e Francia) dall’altra, il vertice svoltosi lo scorso fine settimana nelle sale del Bayerischer Hof, il più esclusivo albergo del capoluogo bavarese, ha segnato il definitivo ritorno al dialogo tra le due sponde dell’Atlantico. La stretta di mano tra i protagonisti dell’acceso duello verbale dell’edizione 2003 della conferenza, vale a dire il ministro degli esteri tedesco Joschka Fischer e il segretario statunitense alla difesa Donald Rumsfeld, ha sancito la ritrovata comunione d’intenti tra Washington, Berlino e Parigi su tutti i grandi temi della politica internazionale. Iraq compreso. Sono in molti a chiedersi dove sia finita l’intransigenza dimostrata, a suo tempo, da parte di Schröder, Chirac e Putin contro la campagna di George W. Bush in riva al Tigri e all’Eufrate. A quasi un anno dall’invasione anglo-americana dell’Iraq, e dalla mobilitazione di milioni di persone in tutto il mondo contro la guerra, di quel sussulto di dignità e d’indipendenza da parte di un pezzo consistente d’Europa non rimane che il ricordo sbiadito. Di fronte alla repentina marcia indietro degli “ex ribelli”, per cui ora la priorità sembra quella di «recuperare a pieno l’amicizia con gli Usa» (sono parole del ministro della difesa tedesco Peter Struck), persino un super falco come Rumsfeld ha gioco facile a farsi passare per vincitore morale, oltre che bellico. Nel suo intervento davanti alla folta platea di ministri e generali Rumsfeld è tornato, infatti, a giustificare l’opportunità del conflitto e si è soffermato a lungo nella descrizione del nuovo Iraq, un paese che, a sentire l’uomo della Casa Bianca, si starebbe incamminando a grandi passi «sulla strada della democrazia e del benessere». Una versione dei fatti quantomeno fantasiosa che, però, nessuno degli altri oratori si è sentito di controbattere apertamente. Lo stesso Joschka Fischer, pur riaffermando la contrarietà del governo federale ad inviare un proprio contingente militare a Baghdad, ha annunciato che la Germania non si opporrà ad un’eventuale decisione della Nato di affiancare le truppe della coalizione sul territorio iracheno. A completare il trionfo per Rumsfeld, l’indiscrezione, trapelata per i corridoi del Bayerischer Hof, secondo cui l’altra portabandiera della “vecchia Europa”, vale a dire la Francia, starebbe allestendo addirittura una brigata di tremila uomini pronta a partire per l’Iraq in vista di un prossimo, sempre più probabile, coinvolgimento della Nato. Che sia stato a causa dell’aperto malcontento degli ambienti economici tedeschi e francesi, infuriati per essere rimasti fuori dagli appalti della ricostruzione irachena, o per colpa del fermo rifiuto di Londra di seguire Berlino e Parigi sul terreno di una difesa comune europea (e, quindi, di un’emancipazione reale da Washington), fatto sta che la “frattura insanabile” tra gli Usa e i “ribelli” europei, di cui molti analisti parlavano appena dodici mesi fa, sembra ormai definitivamente ricomposta. Oltre che di Iraq, a Monaco si è parlato anche dell’altro teatro di guerra che, da oltre due anni, vede impegnate assieme truppe nordamericane ed europee: l’Afghanistan. Il nuovo segretario generale dell’Alleanza atlantica, l’olandese Jaap de Hoop Scheffer, ha colto l’occasione della sua prima apparizione ufficiale per invitare i governi europei ad un maggiore impegno nel paese asiatico e annunciare ufficialmente che, a partire dal prossimo agosto, il comando della missione Nato-Isaf a Kabul verrà affidato ad Eurocorp, un contingente europeo misto di cui fanno parte truppe di Francia, Germania, Spagna, Belgio e Lussemburgo. L’obiettivo della coalizione è quello di allargare la missione internazionale al di fuori della capitale afgana in regioni tuttora controllate da gruppi etnici in guerra tra loro e milizie filotalibane. Un impegno, soprattutto economico, che l’amministrazione Bush, a pochi mesi dalle elezioni presidenziali, non può e non vuole accollarsi, preferendo che siano gli alleati europei (vecchi e nuovi) a portare avanti la lotta al terrorismo internazionale iniziata nel 2001. Ma la “Sicherheitskonferenz” di Monaco è, da sempre, anche l’occasione per parlare, oltre che di geopolitica, alleanze strategiche e guerre in corso o da dichiarare, di armamenti e novità tecnologiche in campo bellico. Tra i quasi 300 ospiti internazionali del signor Teltschik vi sono, infatti, diversi rappresentanti di industrie militari e mercanti d’armi indaffarati a offrire i loro prodotti ai migliori acquirenti. Una fatto «più che normale» per il padrone di casa, ex consigliere personale di Helmut Kohl e attuale presidente della Boeing Germania, di un’azienda, cioè, impegnata in prima linea nella ricerca e nella produzione di tecnologia militare. A chi gli fa notare l’aperta contraddizione tra un vertice che tratta di sicurezza e lotta al terrorismo e il genere di affari che vi si concludono, Teltschik risponde scandalizzato che la conferenza ha come unico fine la soluzione dei conflitti attraverso il dialogo. Il colloquio informale (e a quanto pare del tutto infruttuoso) tra israeliani e palestinesi presenti nel capoluogo bavarese ne sarebbe - a suo avviso - un esempio eclatante. Fuori dal lusso del Bayerischer Hof la protesta si è fatta sentire, come è tradizione da almeno un decennio a questa parte. Sindacati, partiti di sinistra, associazioni pacifiste di ispirazione cristiana e critici della globalizzazione hanno organizzato una contromanifestazione cui hanno aderito circa 10.000 persone. Nulla a che vedere con le quasi 40.000 presenze del 2003, ma allora si era alla vigilia della grande mobilitazione internazionale contro la guerra del 15 febbraio. Ad accogliere i manifestanti un muro di polizia in assetto antisommossa: 4.000 agenti insolitamente aggressivi che hanno spezzato e caricato il corteo in più punti, senza che ve ne fosse alcuna necessità. L’unico vero pericolo, infatti, i partecipanti alla conferenza lo hanno corso nella hall dell’albergo a cinque stelle, quando alla guardia del corpo di un politico francese è partito inavvertitamente un colpo di pistola che ha seminato il panico tra i presenti e ferito di striscio un giornalista.

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13.02.04

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