Settecento franchi al mese. È la nuova frontiera del dumping salariale in Ticino, ben trecento in meno in busta paga dei numerosi casi emblematici da mille franchi raccontati da questo giornale. Viaggio nei salari del terziario, dove la discesa non conosce limiti. Lo ha denunciato lunedì il quotidiano 20 minuti. «Settecento franchi nemmeno sicuri» scrive il giornale, «perché se il dipendente non procura all’azienda un fatturato di almeno 5.000 franchi al mese, lo stipendio sarà ridotto proporzionalmente alle vendite». L’azienda si chiama Casa Bella G.B, la sua sede è a Lugano-Pregassona e si occupa di arredamento. I contratti da 700 franchi mensili lordi sono per gli addetti vendita telefonica per 22 ore settimanali. L’azienda smentisce, sostenendo si tratti di pensionati che lavorano un paio d’ore al giorno. Area invece conferma quanto pubblicato dal giornale gratuito, poiché siamo in possesso dei contratti da mille franchi per 30 ore settimanali alla Casa Bella, alle stesse condizioni indicate da 20 minuti (riprodotto nell’immagine). L’azienda è una della tante che finirà nella lista nera del dumping nell’apposita pagina internet gestita da Unia Ticino, come affermano i suoi responsabili. Una lista nera che, precisano, sarà operativa da maggio e dove sarà pubblicato il peggio della classe imprenditoriale ticinese. Casabella è la dimostrazione, ulteriore, che il terziario in Ticino è un settore dove lo stipendio è sotto attacco. E lo è da anni. In precedenza, il terziario rappresentava quel porto sicuro verso cui i residenti si orientavano per avere la garanzia di un posto di lavoro a salari dignitosi. Da qualche anno, pochi svizzeri o residenti possono dirsi al sicuro. Ed è approfittando delle ampie falle nel sistema elvetico di tutela delle condizioni di lavoro e dei salari che gli squali si sono aperti un varco, oggi diventato un voragine. Se nella loro totalità sei lavoratori su dieci in Svizzera non sono tutelati da contratti di lavoro, nel terziario vale la legge della giungla. In quel settore, il mito del partenariato sociale si sgretola definitivamente. «Salari inquietanti, shockanti e improponibili» aveva detto la direttrice del Dipartimento delle finanze ed economia Laura Sadis, oltre un anno e mezzo or sono riferendosi ai primi risultati provenienti dalle verifiche delle autorità cantonali nel terziario. «Una sfida a cui siamo ora concretamente confrontati – aveva aggiunto Stefano Rizzi, capo Divisione – è il tema del dumping salariale nel terziario». Vediamoli questi dati, iniziando dai più recenti. Il settore delle fiduciarie era il tipico ambito professionale riservato agli svizzeri nel recente passato. La Commissione tripartita ha appena informato che l’inchiesta sugli impiegati di commercio nelle fiduciarie «è quasi conclusa e i dati indicano la presenza di dumping salariale. Questo è particolarmente presente nei contratti stipulati negli ultimi due anni e ancora più evidente se l’analisi si concentra solo nei lavoratori con permesso G». In altre parole, il personale residente è sostituito da frontalieri a paghe inferiori. Dato non trascurabile, il salario di riferimento su cui è stata calcolata l’esistenza del dumping, è di 3.180 franchi lordi mensili. Il medesimo importo di un altro settore tipicamente svizzero o residente, nel quale il governo ha emanato un contratto normale di lavoro obbligatorio dal 1° gennaio. L’impiegato di commercio nella consulenza aziendale è un ambito professionale tutt’altro che trascurabile. Vi lavorano circa 1.200 persone. Anche in quella professione è stato appurato che negli ultimi due anni, un quarto degli assunti percepiva tra i 2.500 e i 3.000 franchi. Insomma, il lavoro d’impiegata di commercio visto una volta dagli svizzeri o dai residenti quale meta ideale per le proprie figlie o figli, è diventato un incubo. Nel resto del terziario, non è che vada meglio. Informatici, call center, centri fitness, saloni di belleza, negozi con meno di dieci dipendenti sono tutti ambiti in cui è stato appurato il dumping e il governo ha emanato dei contratti obbligatori negli ultimi tre anni. Il lato triste sono gli importi dei salari minimi contenuti in questi contratti, quasi tutti sui 3.000 franchi. La vera svolta, l’unico argine serio per fermare l’incubo salariale in cui sta sprofondando il terziario ticinese, sostengono i sindacalisti, sarà l’adozione del salario minimo da 4.000 franchi, in votazione il prossimo 18 maggio. L’alternativa è che di questo passo, tra venti anni avremmo contratti normali di lavoro emanati dal governo in tutti i settori a 3.000 franchi.
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