Nel paese si soffre, a Palazzo si scherza

L’incapacità della politica italiana ad accordarsi su una figura di garanzia, costringe Mattarella ad accettare la rielezione alla presidenza. Un’analisi

Avevamo scherzato. Si riparte da Sergio Mattarella al Quirinale e Mario Draghi a Palazzo Chigi. Le borse, le centrali finanziarie, l’Europa e anche la Confindustria, in coro, applaudono ritmando: sta-bi-li-tà. Abbiamo il migliore dei candidati possibili al colle più alto e Supermario al governo per gestire i miliardi del Pnrr. Nel grande Gioco dell’oca, dopo sette tentativi a vuoto la politica italiana è finita alla casella 58, detta “Scheletro”, quella che fa pagare la posta e rimanda alla casella 1, cioè al punto di partenza. Per la seconda volta in pochi anni il Parlamento allargato ai rappresentanti delle regioni ha operato una forzatura costituzionale – era già successo con Napolitano – optando per un secondo mandato. La Carta fondamentale non lo prevede (ma non lo esclude esplicitamente), ma i partiti sì: per la loro incapacità di trovare una mediazione scegliendo una figura rappresentativa di garante, hanno detto che in Italia non ce n’è alcuna. La seconda forzatura è nel ricatto ai danni di un uomo perbene e di parola come Mattarella che aveva ribadito in tutte le salse: sette anni al comando sono sufficienti, fate il vostro lavoro ed eleggete un nuovo presidente. O resti tu o salta tutto, cade il governo e il Tevere sommerge la Città eterna, poi c’è la pandemia, c’è il Pnrr, gli hanno risposto i partiti presentandosi in ginocchio al Quirinale. I capigruppo in ginocchio, non i leader inadeguati che Mattarella non ha voluto vedere. E prima ancora, a supplicarlo di restare era stato Mario Draghi, che credendosi ormai il Marchese del Grillo, si era autocandidato a ricoprire la prima carica dello Stato ma era stato stoppato da chi temeva che senza di lui non si sarebbe riusciti a fare un nuovo governo con la stessa abnorme maggioranza e si sarebbe tornati alle urne: o resti tu, che in quel rissoso zoo mi hai messo, oppure vado via e muoia Sansone con tutti i filistei. Alla fine, sotto la spinta di un Parlamento che ha puntato sull’“usato sicuro” e sostenuto dall’affetto del paese, Mattarella ha accettato “per senso di responsabilità” mettendo via progetti e desideri e procedendo al secondo trasloco in pochi giorni.

La minaccia del presidenzialismo
È vero, ci siamo risparmiati il peggio: Silvio Berlusconi innanzitutto, autocandidato sostenuto di malavoglia oltre che da Forza Italia anche da Lega e Fratelli d’Italia, cosicché per una settimana si è fermata la politica in attesa che il più impresentabile degli italiani si ritirasse non essendo riuscito a comprarsi i voti mancanti alla destra. Poi lo stesso Draghi, sognando il salto da re a imperatore, osteggiato dalle destre, dai 5 Stelle e da parte del Pd. Poi Elisabetta Casellati, pessima presidente del Senato, quella che gridava ‘Ruby è la nipote di Mubarak’: con una indecente e suicida forzatura il fallimentare kingmaker Salvini ha tentato di imporla come candidata di parte, bocciata persino da 70 grandi elettori di destra, Toti l’amico di Renzi in testa.

 

Poi Elisabetta Belloni, seria diplomatica candidata a tutrice della Costituzione ma con un piccolo handicap: è la numero 1 dei servizi segreti – famigerati nella storia italiana – una che pochi conoscono ma tutto sa di ognuno. Senza dimenticare l’immarcescibile Pierferdinando Casini, il Dc buono per tutte le stagioni, prima con la destra, poi con il centro, poi eletto dal Pd e infine nel gruppo misto. Sarebbe piaciuto a Renzi, a parte del Pd, ai centristi di tutti gli schieramenti. Ce lo siamo risparmiato.

 

Così come il quasi ex berlusconiano Franco Frattini, ma sapete perché? Per il centrosinistra non è sufficientemente filo-Nato. Di forzatura in forzatura, di veto incrociato in veto, ha preso corpo l’ipotesi della monarchia costituzionale inchiodando Mattarella allo scranno più alto. Ma la monarchia potrebbe essere solo il primo passo verso una sciagurata riforma costituzionale verso la repubblica presidenziale, con il presidente eletto con voto popolare. Ipotesi che piace anche in casa Pd, per non parlare di Renzi e della destra.


Il secondo elemento positivo è la certificazione della rottura del centrodestra. Salvini ha giocato pessimamente le carte bruciando tutti i suoi candidati, spiazzando alleati e compagni di partito con il sì al bis di Mattarella. Nella Lega i governisti lanciano messaggi chiari, a partire da Giorgetti che minaccia dimissioni, proseguendo con i presidenti di regione del nord, che accusano il segretario di incapacità politica; Giorgia Meloni alza bandiera nera, decreta la morte (almeno temporanea) del centrodestra e rafforza il suo ruolo di oppositrice solitaria al governo; Berlusconi, sconfitto e malato, tenta di riprendere in mano il pallino e i centristi rafforzati dall’arrivo di Renzi tendono a giocare in proprio. Il romanzo Quirinale è stato segnato dalla rinascita democristiana, con il ricompattamento degli ex Dc nel Pd guidati da Franceschini, quelli del centrodestra aizzati da Lupi e Casini e infine quelli storici e preistorici, da Mastella a Cirino Pomicino.


Anche il M5S è uscito a pezzi. Conte è accusato di insipienza per non aver imposto la Belloni e da qualcuno di tradimento per aver fatto l’occhiolino a Salvini sulla candidatura Casellati. Contro l’avvocato, accecato dall’odio per il suo successore al governo, c’è Di Maio lancia in resta, c’è l’esercito dei fuoriusciti e ha fatto la sua ricomparsa persino Di Battista. Grillo è in penombra, preso dai problemi familiari (il figlio è accusato di stupro) e personali (sotto inchiesta per traffico d’influenze illecite per aver preso soldi dal padrone della Moby in cambio di favori politici).


Letta si considera il vincitore della partita, nonostante non sia riuscito nell’obiettivo di santificare Draghi al Quirinale. Ottima tattica, ha aspettato sul greto del fiume ogni candidato di turno per affogarlo, e pessima politica non avendo espresso una-dicasi-una proposta in grado di superare lo stallo di un parlamento privo di maggioranze nette. Ha allentato i rapporti con un M5S in confusione mentale e ricostruito un legame con il cecchino Renzi (ricordate “Enrico stai sereno”?), ora cerca un asse con Forza Italia mentre ha già quasi incamerato il ritorno a casa dei figlioli prodighi, Bersani, D’Alema, Speranza.

Nuova partita per il Governo
Per il governo si apre una partita nuova, preelettorale. Draghi, entrato papa nella disfida e uscito cardinale, cercherà di fare la voce grossa con la sua maggioranza più divisa e litigiosa di prima. In gioco c’è un paese in forte sofferenza, dentro una forte ripresa costruita sui debiti e sul sangue dei lavoratori: servirebbe un progetto di politica industriale mentre dilaga la precarietà e aumentano i morti sul lavoro e il governo è più sensibile a Confindustria che ai sindacati; anche gli studenti in alternanza scuola lavoro muoiono in fabbrica e la polizia manganella i ragazzi che protestano; serve una legge elettorale proporzionale dopo l’infausto taglio dei parlamentari mentre Letta e Renzi sognano ancor più maggioritario; servirebbero meno improvvisazione nella lotta al Covid e forti investimenti nella sanità e nella scuola pubbliche. E una riforma fiscale proporzionale, mentre finora Draghi ha sostenuto i ricchi e non i poveri. Della riforma costituzionale, si spera, si parlerà in futuro.


Resisterà il governo fino alla scadenza naturale? E fino a quando durerà la pazienza di Mattarella? Forse fino alle elezioni, magari per lasciare il posto a Draghi, sempre che la destra non le stravinca.

Pubblicato il

03.02.2022 15:23
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