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Nel nome della pace
di
Martino Dotta
Ieri, giovedì 24 gennaio, Assisi è diventata di nuovo luogo d’incontro dei rappresentanti delle principali religioni mondiali. Tuttavia, gli ospiti d’onore di Giovanni Paolo II sono stati di sicuro i musulmani, messi attualmente a confronto di altri credenti con forti tensioni interne e accuse di fomentare o sostenere il terrorismo internazionale. Purtroppo nell’inconscio collettivo occidentale diffusa l’idea che l’Islam sia da identificare con i terroristi di Osama Bin Laden, i militanti suicidi di Hamas o i guerrafondai sudanesi. Non è allora un caso se in Marocco e in Arabia Saudita, all’inizio di questo mese, siano stati organizzati due convegni di esperti dei media e di studiosi dell’Islam per valutare l’impatto degli attentati dell’11 settembre 2001 sull’immagine del mondo musulmano diffusa dalla stampa occidentale. E dire che «Islam» significa «sottomettersi a Dio» ed è un vocabolo che ha la stessa radice della parola (salam), cioè pace! D’altronde, com’è sbagliato liquidare il Cristianesimo come se fosse unicamente la religione delle Crociate (realtà) di cui i cristiani, malgrado le domande di perdono, pagano tuttora lo scotto, così è errato considerare l’Islam una religione oppressiva e discriminante. Neppure sembra corretto, nel frangente attuale, parlare di scontro delle civiltà o guerra tra le religioni. A ragione, ancora di recente e in separate sedi, il Papa e il Dalai Lama hanno ribadito che tutte le religioni promuovono la pace e pertanto non devono diventare fonti di conflitti, odio, discriminazione o brutalità. Quanto alla riunione voluta da Wojtyla con esponenti delle maggiori tradizioni spirituali, non ha avuto nessun fine politico, anche se i suoi due motivi ispiratori ne hanno uno. Il conflitto israelo-palestinese e la strage delle due Torri Gemelle rimettono brutalmente in discussione le capacità di mediazione della politica e dell’economia. Come già l’assise del 27 ottobre 1986, quando il mondo era ancora diviso in due blocchi ideologici, quella di ieri ha avuto un carattere strettamente spirituale. Ma è inevitabile che un incontro del genere assumesse una valenza simbolica per la società civile e il mondo politico. A ben vedere, l'ha assunto in una forma paradossale, poiché Giovanni Paolo II non ha invitato Kofi Annan, George W. Bush, Vladimir Putin e Jang Zemin al tavolo delle trattative. Ha bensì raccolto ad Assisi uomini e donne che hanno pregato in vari modi per la pace, affinché gli esseri umani cessino di combattersi nel nome di Dio. Dalla cittadina umbra è stato quindi diffuso un invito pressante a evitare qualsiasi strumentalizzazione sociale, politica o culturale delle religioni, poiché esse sono degli itinerari spirituali. Utilizzarle per scopi altri che questi vorrebbe dire svuotarle completamente di senso, anche sul piano pubblico: speriamo che l'On. Berlusconi l'abbia capito! La storia insegna che si tratta sempre di manipolazioni perdenti. Neppure la lotta contro i movimenti estremisti religiosi giustifica l'uso della forza. Al contrario, gli strumenti più efficaci per arginare le frange violente di qualunque ispirazione sono: l'equa distribuzione di beni e opportunità di sviluppo, la condivisione democratica dei poteri, il dialogo interreligioso, la conoscenza delle culture, la tolleranza vigilante, il rispetto del pluralismo spirituale e un costante impegno di conversione sia individuale che collettivo. Si potrebbe riassumere in ciò l'appello per la pace rivolto ieri al mondo da Assisi.
Pubblicato il
25.01.02
Edizione cartacea
Anno V numero 3
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