Due donne di età, storia personale e origine culturale assai diverse, si erano messe d'accordo su come organizzare la loro convivenza in una camera dell'Ospedale Beata Vergine di Mendrisio. Siccome la più giovane, di stretta osservanza musulmana, non può mostrarsi ad altri uomini se non a suo marito con il viso e le mani scoperte, la più anziana, ticinese, decise che sarebbe uscita dalla camera ogni volta che avesse voluto incontrare il suo, di marito. E questo per evitare alla compagna di camera di dover  coprirsi e piazzare paraventi. Ne è nato il finimondo, con i soliti leghisti e destroidi vari che sono riusciti a cavalcare una storia esemplare per civiltà e rispetto reciproco per trasformarla in un nuovo campo di battaglia della loro personalissima guerra di civiltà (cfr. pag. 11).
In realtà nel caso in questione la donna musulmana ha solo chiesto il rispetto della sua sfera privata. Il velo, in tutte le sue forme, altro non è che l'estensione alla sfera pubblica delle pareti di casa che normalmente proteggono la donna nella sua intimità. Può essere e certamente è anche espressione di un rapporto di sottomissione delle donne nelle culture musulmane. Ma nel singolo caso concreto questo conta poco: importa invece cosa la donna in questione prova. Nella vicenda di Mendrisio non ha senso dunque chiedersi se una cultura debba adeguarsi ad un'altra o se in un ospedale pubblico si possano tollerare simboli della prevaricazione maschile: si tratta di domande importanti e legittime, ma poste nella sede sbagliata. L'unica cosa che conta davvero è la richiesta che la paziente musulmana fa, come qualsiasi paziente, perché se ne rispetti la sfera privata e intima. Punto e basta. Visto in questo modo, come l'ha giustamente visto il personale dell'Ospedale di Mendrisio, il "caso del burka" non ha nulla di straordinario: a tutti è già capitato di dover rimanere fuori da una camera d'ospedale per non violare l'intimità di chi vi è ricoverato.
Il rumore mediatico e le strumentalizzazioni politiche da mentecatti fatte da una destra ignorante e perfida hanno invece stravolto le intenzioni delle due donne coinvolte, facendo gridare alla sconfitta della civiltà occidentale. In realtà è ben vero il contrario. L'Occidente si dimostra tanto più forte nei suoi valori quanto meno teme i valori degli altri e non li nega, ma vi si confronta, anche con il necessario spirito critico. L'attitudine prevaricatrice di chi vuole imporre i propri modelli con la forza e non con il confronto dialettico è invece quanto di più lontano ci si possa immaginare dalla tradizione di tolleranza che abbiamo ereditato dall'illuminismo in poi: e nega contraddicendoli i valori stessi dell'Occidente assai più di quanto non possa fare una donna musulmana in una camera d'ospedale. E spiace dover osservare la debolezza dei media ticinesi, che, salvo eccezioni, non hanno saputo riferire criticamente degli interventi politici su questo tema: come se una fesseria non fosse più tale solo perché detta da un parlamentare qualsiasi come un Quadri, un Gobbi o un Rusconi ingabbiati nei loro burka mentali.
Un'ultima annotazione: su questa vicenda si sono espressi in tanti, quasi tutti uomini. Il dibattito che ne è nato è stato sguaiato e penoso. Nessuno s'è chiesto che cosa ne pensino le due donne protagoniste. Che, discretamente, ci hanno già dato una grande lezione di civiltà.

Pubblicato il 

15.06.07

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