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Negozi, il Ticino si gode le feste |
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Era nell'aria e la scorsa settimana è arrivata la conferma: nel merito e nella forma, il Tribunale federale (Tf) ha dato ragione al sindacato Unia e ad alcuni privati cittadini che avevano fatto ricorso contro le deroghe di aperture generalizzate per alcune festività concesse dal Consiglio di stato (Cds) nel 2005. Si volta dunque pagina in Ticino sulla spinosa questione delle aperture festive generalizzate con un freno legale che comincia ad avere degli echi anche nella Svizzera interna, come testimoniano le votazioni di Lucerna e Turgovia (si veda articolo sotto). Ed ora il sindacato Unia rilancia: prima si sigli un Contratto collettivo di lavoro (Ccl) per la categoria, ne venga decretata l'obbligatorietà e garantita la sua corretta applicazione da un'apposita commissione paritetica, dopodiché si può pensare ad una modifica della legislazione in materia di aperture dei negozi.
«È (…) escluso che la normativa venga elusa mediante un'estensione immoderata delle deroghe le quali, proprio perché sono delle deroghe, devono rimanere eccezioni e limitate a casi particolari sia riguardo ai negozi che agli eventi che possono beneficiarne.» (punto 4.5 della sentenza) Basta questo passaggio della sentenza del Tribunale federale, pronunciata lo scorso 9 maggio, a dare la misura dell'importante vittoria del sindacato Unia che aveva fatto ricorso contro le aperture generalizzate nei giorni festivi concesse in deroga dal Consiglio di stato nel 2005 (si veda anche area n. 20-21 del 19.05.06). Una sentenza che, oltre a censurare pesantemente e senza mezzi termini il Cds, mette fine ad una concessione a go go di permessi in Ticino. «Il Tf ricorda che quando una legge non piace la si cambia, con un processo democratico, e non si cerca di eluderla come ha fatto il Cds», ha detto l'avvocato Damiano Bozzini, patrocinatore del sindacato Unia e di due privati commercianti che hanno ricorso contro la decisione del Cds. Insomma, non perché Disti (la Distribuzione ticinese), Camera del commercio, Federcommercio e sindacati Ocst, Sic Ticino, Sit e Syna chiedono, il Cds è autorizzato, arbitrariamente, ad eludere la legge «violando così i diritti formali e sostanziali di tutti i cittadini che da tale legge sono tutelati», ha precisato l'avvocato Bozzini. Il quale ha aggiunto: «La questione va ben oltre l'aspetto delle aperture festive, ma concerne il tema più generale del rispetto della legalità da parte delle autorità preposte». Ed è questo il punto: «Non fosse per un'organizzazione sindacale e alcuni privati cittadini che si sobbarcano l'onere di un ricorso al Tribunale federale, avremmo in vigore una prassi manifestamente arbitraria e illegale». La decisione del Tf segna dunque un cambio di rotta inequivocabile: d'ora in poi in Ticino non si potranno più concedere arbitrariamente deroghe sulle aperture straordinarie dei negozi, come è accaduto finora, se prima non verrà modificata la legge che le concerne. Così l'effetto sospensivo per le aperture straordinarie già concesse dal Cds per il 2006 diventa definitivo. Con l'importante sentenza dalla sua parte, il sindacato Unia spera ora di potersi concentrare su di un lavoro di costruzione per il rafforzamento del potere contrattuale della categoria, una delle più esposte, in materia di condizioni lavorative, diktat della grande distribuzione. Per ciò il sindacato auspica che il 2006 sia un anno di pausa – ha spiegato il segretario regionale Unia Saverio Lurati – in cui poter intensificare i contatti con la controparte padronale e gli altri sindacati per la stesura di un Contratto collettivo di lavoro (Ccl) che sia garantito da un decreto di obbligatorietà e da una regolare commissione paritetica che vegli sulla sua effettiva applicazione. Solo dopo questo importante passo, Unia sarà disposto a discutere e a formulare proposte per la modifica legale e democratica della legge sulle aperture dei negozi in favore di aperture festive da concedere eccezionalmente in particolari occasioni. La battaglia vinta da Unia aiuterà il sindacato a progredire nel suo lavoro di sensibilizzazione del settore che, come ha osservato il segretario sindacale Unia Enrico Borelli, «è al momento un importante laboratorio sindacale, in vista dell'annunciata e prossima entrata in scena in Ticino di colossi della vendita al dettaglio quali Lidl e Aldi». Due colossi noti per le deprecabili condizioni lavorative dilaganti fra le proprie filiali sparse in tutta Europa. Intanto la decisione del Tf, ancor prima che fossero note le motivazioni, ha scatenato sul giornale domenicale "Il Caffè" le ire del presidente della Camera di commercio ticinese Franco Ambrosetti che con sarcasmo ha esordito dicendo: «M'inchino davanti all'iniquità della giustizia» e tacciando la sentenza di «barbarie sociale» perché dà ragione ad «una minoranza sindacale», impedendo così «il corso delle cose, la normalità di orari prolungati che in tutto il mondo (…) sono dati per acquisiti». Esternazioni a cui Saverio Lurati ha ribattuto per le rime: «Altro che barbarie sociale, la vera barbarie sociale è quella che lui e coloro che la pensano allo stesso modo vorrebbero contrabbandare anche da noi. Unia non accetta lezioni da nessuno e tantomeno da qualcuno che si permette di definire la decisione del Tf "un'iniquità sociale" nello stesso giorno in cui viene estromesso dal consiglio d'amministrazione di una banca per inadempienza». Il segretario regionale ne ha avuto anche per il sindacato Ocst che per bocca del suo segretario Nando Ceruso aveva espresso preoccupazione per la sentenza che avrebbe bloccato la creazione di nuovi posti di lavoro. «Che si tratti di un'ipocrisia lo dimostrano i dati delle due più grandi catene di distribuzione, Migros e Coop che pur registrando ambedue un aumento negli ultimi anni della cifra d'affari hanno contemporaneamente diminuito i posti di lavoro (alla Migros gli 85'733 impiegati del 2002 sono diventati 81'049 del 2005; alla Coop si è passati dai 49'247 del 2002 ai 44'916 del 2005). E sullo stesso versante le statistiche dicono che nella sola Lombardia le aperture domenicali, festive e serali hanno contribuito a distruggere qualcosa come 12 mila piccoli negozi. Se questo è incremento occupazionale…», ha commentato Lurati. Il "così fan tutti" tanto invocato da Ambrosetti non sembra far presa sul Ticino che già in due occasioni ha votato contro l'estensione degli orari d'apertura e – seppur riferito a degli esercizi particolari di commercio – contro le aperture domenicali. «La popolazione ha capito – ha concluso Lurati – e in un cantone dove il ruolo della famiglia rimane, fortunatamente, il perno della costruzione sociale non c'è spazio per avventure deregolamentatrici ad oltranza. Oggi sarebbe il turno delle venditrici, …domani di tutti gli altri».
"L'ondata liberista si esaurisce"
Due votazioni popolari vinte un paio di settimane fa, nei cantoni Lucerna e Turgovia, contro le liberalizzazioni degli orari d'apertura dei negozi. Nel contempo la vittoria presso il Tribunale federale contro le deroghe al divieto di apertura nei giorni festivi in Ticino. Dopo la votazione persa di misura in novembre sugli orari d'apertura dei negozi annessi alle grandi stazioni su questo tema i sindacati sembrano avere il vento in poppa. Ne parliamo con Andreas Rieger, corresponsabile del settore terziario del sindacato Unia.
Andreas Rieger, qual è l'importanza delle votazioni di Lucerna e Turgovia? A Lucerna si votava sugli orari d'apertura in settimana. Il popolo poteva scegliere fra tre varianti: una totale liberalizzazione (apertura fino alle 23), una liberalizzazione parziale (apertura fino alle 20) o lo status quo (apertura fino alle 19 più un'apertura serale prolungata). E il popolo ha optato per lo status quo. È una bella vittoria della coalizione che si era costituita fra il sindacato Unia, l'Unione sindacale, i partiti di sinistra (Ps e Verdi), gli ambienti legati alla Chiesa e, molto importanti, i piccoli venditori al dettaglio. Nel canton Turgovia si trattava di decidere se concedere agli shops annessi ai distributori di benzina di tenere aperto, oltre che alla domenica, anche in alcune festività infrasettimanali. E anche qui il popolo ha detto di no. Questi risultati un po' sorprendenti sono frutto del lavoro fatto dai sindacati per la votazione di novembre sulle aperture dei negozi annessi alle grandi stazioni: gli argomenti fondamentali sono rimasti nella coscienza degli elettori. Che oltretutto si sentono irritati se hanno l'impressione che sugli orari d'apertura si faccia la tattica del salame. E qual è l'importanza della sentenza del Tribunale federale (Tf) sul caso ticinese? La questione riguarda le deroghe, ad esempio per ragioni legate al turismo, agli orari d'apertura fissati per legge. Vari Dipartimenti cantonali dell'economia e diversi governi cantonali tendono ad accordare deroghe molto facilmente, quasi fotocopiandole. Le autorizzazioni perdono così il loro carattere eccezionale per diventare la norma. Nel canton Zurigo questa deriva ha assunto caratteri estremi: basta inoltrare la domanda con un pretesto qualsiasi per essere sicuri che la deroga sia accordata. Ora Unia e l'Uss hanno inoltrato ricorso contro una deroga di questo tipo. Il Tf in più occasioni ha detto che un'eccezione è un'eccezione, e nel caso ticinese lo ha confermato. Per il Tf un'eccezione dev'essere motivata e non può essere globale ma deve sempre riferirsi a situazioni concrete. A Berna la commissione parlamentare prevede aperture tutte le sere fino alle 20 e una sera fino alle 22 in cambio di un Contratto normale di lavoro. Qual è la sua opinione? Negli ultimi due anni in diversi cantoni della Svizzera tedesca (Zurigo, Argovia, Turgovia, Basilea Campagna, Glarona) gli orari d'apertura in settimana sono stati completamente liberalizzati, malgrado l'opposizione dei sindacati. Così anche il governo del canton Berna voleva una liberalizzazione totale. In commissione s'è però fatto strada questo compromesso sugli orari in cambio della promessa del governo di emanare un Contratto normale di lavoro del livello dei Contratti collettivi di lavoro dei grossi distributori (Migros e Coop). Si tratta di sapere se è il caso di lanciare un referendum contro un compromesso con qualche possibilità di successo: la Regione Berna di Unia pensa che le probabilità di spuntarla sono minime se l'orario di chiusura non verrà fissato oltre le 20. Quindi se dal parlamento uscirà questa soluzione probabilmente non ci sarà referendum. C'è dunque un quadro legislativo molto diverso da un cantone all'altro. A che punto siamo? Ci sono cantoni in cui non c'è ancora nessuna apertura serale e al sabato si chiude alle 16 e altri in cui gli orari sono stati completamente liberalizzati e non c'è alcun contratto collettivo, come Zurigo. Questa differenza fra un cantone e l'altro si fa sentire soprattutto fra cantoni confinanti dove si teme un certo turismo dello shopping. E questo argomento è stato molto usato nel canton Berna. Ora però l'estensione degli orari a Berna apre la discussione nei cantoni di Friburgo e Giura, dove i rapporti di forza sono a nostro favore. A Friburgo i sindacati minacciano il referendum se l'orario di chiusura al sabato passerà dalle 16 alle 17. E anche nel Giura c'è nell'aria un referendum se passeranno delle liberalizzazioni. Quando finirà l'ondata liberalizzatrice? In certi cantoni si sta già esaurendo. A Basilea si era trovato un compromesso: apertura fino alle 20 tutti i giorni in cambio di un Contratto collettivo di lavoro. Ora di fatto i negozi sono aperti fino alle 20 soltanto al giovedì e al venerdì: perché sono gli stessi commercianti ad essersi resi conto che tenere aperto tutte le sere non rende, mancano i clienti. A Ginevra si è raggiunto pure un compromesso con apertura fino alle 20: ma i negozi del centro torneranno presto alle 18.30 perché tenere aperto più a lungo tutte le sere non conviene. Questo dimostra che la posizione dei datori di lavoro sugli orari d'apertura è spesso ideologica. È ai grossi centri commerciali che orari prolungati rendono. La tendenza sembra quindi verso orari differenziati fra tre gruppi di commerci: quelli in centro città, i negozi di quartiere e infine i grossi centri commerciali che spingono per orari prolungati. I liberalizzatori sostengono che ci sarebbe un bisogno dei consumatori di avere orari d'apertura prolungati. Condivide? No, non c'è un bisogno generale e diffuso della maggioranza dei consumatori di fare acquisti la sera o la domenica. Lo dimostra proprio la cifra d'affari dei negozi la sera, che è bassa. È una piccola minoranza che fa gli acquisti la sera, composta soprattutto da singles: i genitori che hanno figli preferiscono stare a casa con loro che andare per negozi. E poi c'è chi, con la flessibilizzazione degli orari di lavoro, deve a volte far capo a negozi con orari prolungati. Ma per noi il bisogno delle venditrici e dei venditori di condurre una vita famigliare normale è più importante che il bisogno di una piccola minoranza di consumatori di fare la spesa quando vogliono.
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