Fiamme negli ecocentri della città di Lugano: i lavoratori chiedono misure per proteggersi dal caldo e, per il momento, ricevono sali minerali. Edoardo Cappelletti, co-segretario del Sindacato svizzero del personale dei servizi pubblici e sociosanitari, regione Ticino, da noi contattato, si dichiara «sensibile al disagio espresso dai dipendenti e alle loro richieste». Per il sindacalista, «il problema va affrontato a monte e come Vpod si prevede di approfondire l'adozione di misure concrete a favore della salute del personale degli ecocentri». È un sabato di giugno, uno di quei giorni afosi che la bella stagione porta con sé. Caffè al bar, spesa e, poi, direzione all'ecocentro del nostro quartiere per depositare ciò che non è finito nel sacco rosso della spazzatura. Siamo più carichi del solito, perché abbiamo messo mano alla cantina e, allora, corri dalla benna della carta a quella del vetro, cerca il contenitore per pile e batterie, disfati pure di vecchi vasi di fiori che non usi più, butta gli apparecchi elettrici che non funzionano più e getta l'erba che hai appena tagliato. Lo slalom fra le benne di acciaio si rivela una sudataccia, perché sono talmente surriscaldate che ai nostri occhi pare di vedere alzarsi delle fiamme, mentre il piazzale – una grande lastricata di asfalto – è un'isola di calore. Come fate? Ci viene spontaneo chiedere ai due dipendenti che aiutano gli utenti a scaricare da auto e furgoncini il materiale più disparato: da vecchi frigoriferi a materassi. «Con l'arrivo del caldo lavoriamo in condizioni oggettivamente pesanti, perché siamo all'esterno tutto il giorno. Siamo stati dotati di ombrelloni da posizionare sulle benne e da qualche giorno è arrivato un rifornimento di sali minerali con la raccomandazione di scioglierli nell'acqua per reidratarci. La nostra richiesta di posare vele per ombreggiare e nebulizzatori per trovare refrigerio non è stata accolta» ci racconta un operaio. Lugano dispone di sette strutture per la raccolta differenziata dei rifiuti: a Breganzona, Cadro, Molino Nuovo, Pambio-Noranco, Pregassona e Val Colla. Chiamiamo la Divisione degli spazi urbani (Dsu) della città e parliamo con un funzionario che vuole restare anonimo, in quanto la direttrice Elena Riboldi, con la quale volevamo confrontarci sulla problematica, è in vacanza. Il funzionario ammette la richiesta inoltrata dai dipendenti, i quali hanno sollevato il malessere, per pensare ad accorgimenti atti a migliorare le condizioni di lavoro: misure cui non è stato possibile dare seguito in quanto «non attuabili». Le benne «quando vengono svuotate, devono essere sollevare dai camion fino a otto metri di altezza, il che renderebbe la manovra incompatibile con i teloni resistenti ai raggi UV», mentre per i nebulizzatori la risposta è restata vaga. Al Dsu fanno intendere di non sottovalutare la questione e per questo, in collaborazione con una farmacia del Luganese, hanno pensato ai sali minerali per aiutare a mantenere l'equilibrio idrico dell'organismo. «L'anno scorso avevamo optato per l'Isostar, ma essendo una bevanda troppo zuccherata non andava bene. Inoltre, forniamo crema solare, cappellino per testa e collo e pantaloni leggeri». Ma è davvero abbastanza? Per i lavoratori con cui parliamo di possibilità ce ne sarebbero: «Se c'è la volontà, tutto è possibile, anche ombreggiare. D'estate si potrebbero modificare gli orari di accesso, chiudendo gli ecocentri nelle ore più calde (dalle 12 alle 15) e aprendo prima al mattino. Servirebbe anche più personale, perché essere solo in due di sabato a gestire il flusso continuo di utenti è davvero un'impresa». Eccoli, i lavoratori degli ecocentri, invisibili, ma accaldati, che prestano servizio all'esterno per otto ore al giorno, ma non sono visti e, quindi, sufficientemente tutelati. Che cosa fare? Sono i municipi a dover attuare gli accorgimenti di protezione della salute, prendendo atto che negli ecocentri l'esposizione continua al calore per gli operatori non è un'eventualità, ma una realtà. Ricordiamo che secondo la Suva svolgere lavori fisici in condizioni di caldo estremo e sotto il sole cocente comporta un aumento del rischio di infortuni, colpi di calore fino a provocare, nei casi più gravi e rari, infarto. A causa del surriscaldamento urbano, si prevedono periodi di arsura più frequenti e più estremi. È ora di confrontarsi con la problematica, pensando alla riduzione dell'esposizione del personale al calore, adeguare gli orari di lavoro, spostare le mansioni più pesanti al mattino presto e, perché no, estendere le direttive in caso di canicola anche ai dipendenti degli ecocentri. |