Quando Karl Wutrich, commissario liquidatore provvisorio, ha accantonato, il 7 dicembre, circa quattro miliardi di franchi per far fronte alle richieste di riparazione provenienti dalla Francia, Belgio, Portogallo e Germania, nessuno ha operato un semplice calcolo. Gli attivi delle sei filiali Swissair poste in moratoria concordataria ammontano a poco più di quattro miliardi. Sottraendo la riserva del previdente Karl Wutrich, quanto resta? Poco più di zero. Il tutto a fronte di un totale di crediti, non garantiti, che si situa a circa ventidue miliardi (!), di cui circa una dozzina riguarda la sola holding SAirGroup.
Cifre ballerine e colpi bassi
Il responso del pallottoliere è intervenuto soltanto alcuni giorni dopo, quando Karl Wutrich, sempre lui, ha annunciato a Ubs e Credit suisse che non poteva fornire nessuna garanzia su un eventuale credito ponte destinato al piano sociale. Senza garanzie le banche, figurarsi, hanno immediatamente chiuso i rubinetti.
Jean-Luc Nordman, capo della «Task force personal Swissair», dovrà cercare altrove i 78 milioni di franchi che servono a pagare il trattamento di fine rapporto dei 1.500 dipendenti Swissair licenziati (50 milioni) e dei circa 200 collaboratori in prepensionamento (28 milioni). Inizialmente la somma era fissata a poco più di 110 milioni. Nel frattempo due filiali sane di Swissair, Gate Gourmet e Swissport, tuttora promesse alla vendita, hanno deciso di prendere a carico 170 prepensionamenti, corrispondenti a circa 30 milioni. Queste somme si pongono ben al di sotto dei 150 milioni valutati dal banchiere ginevrino Benedict Hentsch, ex membro del consiglio di amministrazione Swissair, al di sotto soprattutto dei 200 milioni richiesti dai sindacati e dal partito socialista. «Sono però una soglia sotto la quale non si può scendere», avverte il deputato-sindacalista ginevrino Rémy Pagani, ancora sotto shock dopo la mazzata presa dal commissario liquidatore.
Cifre ballerine e colpi bassi. La farsa Swissair continua, e tutto può ancora accadere. Se n’è accorto anche Kaspar Villiger, vittima malgrado lui della confusione che regna tra politici, sindacalisti, ministri e commissari liquidatori. Al ministro delle finanze non è stato detto nulla, ad esempio, dei soldi destinati agli impiegati all’estero, in Giappone, India e Tailandia, quattrini ancora una volta sfuggiti all’attenzione di tutti, in primo luogo allo stesso Kaspar Villiger, che aveva giurato su sigari e biciclette che neanche un centesimo pubblico sarebbe andato al personale svizzero licenziato, figurarsi al personale straniero che non paga nemmeno le tasse in Svizzera.
Il piano «Incentive»
A questo punto il gruppo di lavoro diretto da Jean-Luc Nordmann, responsabile della direzione del lavoro presso il Segretariato di Stato (Seco) all’economia, punta sulla soluzione di riserva, il piano «Incentive». Un’idea che fa capo al ministro dell’economia Pascal Couchepin che, sia detto per inciso, ha perso nella débâcle Swissair un gruzzoletto di 150mila franchi.
Il piano «Incentive» si basa su previsioni di almeno 750 milioni di introiti che Swissair (e non Crossair) dovrebbe incassare sulla vendita di biglietti intercontinentali.
Fino a marzo 2002 la Confederazione è infatti l’unica beneficiaria delle rotte internazionali dell’ex-compagnia di bandiera, che il governo mantiene in vita tramite l’inezione di un miliardo di franchi. La somma di 750 milioni è un tetto minimo oltre il quale i ricavati delle vendite possono essere trasferiti al personale. Ciò vuol dire che bisognerà attendere fino alla primavera. «Oppure addirittura fino a settembre», dice Rémy Pagani. «Perché se il piano non funziona, occorrerà aspettare la fine della procedura di liquidazione».
Sul piede di guerra
Intanto il personale Swissair minaccia uno sciopero generale e dà appuntamento all’assemblea generale del 18 dicembre, che si terrà al solito terminal charter di Ginevra. I sindacati non vogliono credere che dopo aver versato due miliardi alla compagnia la Confederazione non riesca a trovare 78 «miseri» milioni. A dare fiato al personale, nella lunga rincorsa sindacale, sono rimaste soltanto le battagliere sezioni ginevrine della Vpod, innanzitutto, della Società svizzera degli impiegati di commercio e il sindacato Push (Personal union Swissair holding).
A Zurigo e Basilea i vertici dei sindacato hanno ribadito, ancora qualche giorno fa, il ricorso a soluzioni consensuali. Dopo una prima avvisaglia a metà settembre, e il blocco di cinque aerei a metà novembre, «la protesta del personale potrebbe sfociare nell’esecuzione di uno sciopero, come già preavvisato dal personale», assicura il sindacalista Rémy Pagani, capofila con Béatrice Enggist della «corrente» ginevrina.
Gli affari delle banche
Nel frattempo le banche ridono. Ubs e Credit suisse Group si apprestano a rivendere buona parte delle quote Swissair rilevate per un pezzo di pane, a 260 milioni, nel pieno della crisi. La nuova Crossair è stata dotata giovedì scorso di un capitale di 2,8 miliardi, cui 70 per cento è in mano degli istituti di credito. La nuova ripartizione del capitale prevede che questi ne cedano circa il 50 per cento, con un rientro di liquidità, o azioni nuove che permetterebbero il recupero di buona parte della somma di 1,35 miliardi iniettata nelle casse del gruppo durante il disperato salvataggio tentato da Mario Corti.
La nuova Crossair potrà quindi volare con un capitale sociale nuovo di zecca, ma senza il padre fondatore Moritz Suter, ultimo delle vittime della débâcle Swissair.
Quando Rainer Gut, presidente di Nestlé e capo di un gruppo di lavoro per il lancio della nuova compagnia, ha chiamato in ottobre Pieter Bouw, nella sua casa di Amsterdam, situata in riva al più suggestivo canale della capitale olandese, il destino di Moritz Suter era già deciso. Il padre della compagnia basilese ormai elevata al rango di vettore nazionale ed intercontinentale, avrebbe perso la sua creatura, senza poter opporre alcuna resistenza. L’imprenditore, ex pilota Swissair, è riuscito a fare di una piccola azienda di aerotaxi, fondata nel 1975, la prima compagnia regionale europea, ma ha il difetto di non tenere le redini di una banca, una credenziale che in Svizzera apre le porte del cerchio ristrettissimo dei veri proprietari del paese. Pieter Bouw, olandese volante, uscito dai ranghi della Klm dei tempi migliori, occuperà quindi la poltrona che spetterebbe di diritto al fondatore e promotore di Crossair, quella di presidente del consiglio di amministrazione.
«A chi appartiene la Svizzera?»
Giovedì 6 dicembre, durante la prima assemblea generale della nuova compagnia, quando i giochi erano ormai fatti, Moritz Suter ha dato sfogo alla sua delusione. «A chi appartiene la Svizzera?», ha chiesto alle migliaia di azionisti venuti ad ascoltarlo. La risposta ha il sapore amaro della sconfitta, non soltanto per il malcapitato Moritz Suter, ma anche per chi, come lui, non ha i mezzi per opporsi allo strapotere dell’oligarchia affaristico-politica che tiene in pugno il paese. «Il modo in cui il Consiglio federale si è lasciato prendere in questo affare mi fa riflettere», ha detto l’ormai ex presidente di Crossair, indicando che tra gli sconfitti c’è da considerare pure il governo, affermando che il potere politico è stato cancellato da quello economico.
Nel discorso d’addio non c’è stato tuttavia posto per i dipendenti di Swissair, per i sindacati e per i politici che hanno subito un’umiliazione senza precedenti. Per il semplice motivo che Moritz Suter non ha niente a che vedere con Swissair. Peccato. Magari l’ultimo grande personaggio dell’aviazione civile svizzera sarebbe riuscito a trovare una soluzione anche per il «piano sociale», diversa dall’idea anomala del governo di chiedere un anticipo alle banche, senza nemmeno immaginare che il commissario liquidatore non poteva garantire il prestito.
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