Bombardamenti "umanitari", interventi "chirurgici", danni collaterali. È il nuovo, assurdo, linguaggio della guerra. Un linguaggio cinico che tenta, senza riuscirvi, di mascherare ciò che la guerra è in realtà: un orrore, una delle più terribili e devastanti espressioni di potere, un veicolo moltiplicatore della violenza. Il paradosso è che oggi i signori della guerra dichiarano di muoversi in nome della pace, per il bene dell’umanità, a favore dei diritti dell’essere umano. Strana concezione, la loro. E soprattutto lontana anni luce dalla nostra, da sempre schierati a favore del rispetto dei diritti dell’essere umano. Pacifisti? Sì, lo siamo e pertanto contestiamo la revisione della legge militare federale (cfr. servizio a pagina 3). La contestiamo non soltanto per ragioni etiche, ma anche perché con il pretesto dell’autodifesa dei soldati — il porto d’armi, a precise condizioni, è già ammesso nell’attuale legge — si apre la strada all’impegno delle truppe elvetiche nei conflitti all’estero. Iraq, Somalia, Balcani non sono poi ricordi così lontani e polverosi. Invece di voler mostrare i muscoli, invece di rincorrere le logiche dell’armamento — fonte, naturalmente, di lucro —, la Svizzera farebbe bene a consacrare più mezzi ed energie all’aiuto allo sviluppo, alla prevenzione dei conflitti e alla promozione della pace. È quanto chiedono, né più né meno, le forze di sinistra (ricordiamo che sul tema il partito socialista è diviso) e il Gruppo per una Svizzera senza esercito le cui ragioni, sia detto molto chiaramente, divergono radicalmente dall’altro fronte del no: quello della destra (Udc, Asin, Lega) favorevole al disimpegno della Svizzera quale chiavistello per garantirne la chiusura su se stessa. Il no dei pacifisti apre invece una finestra su un altro modo di far politica che è quello della solidarietà internazionale attraverso l’aiuto umanitario, delle relazioni commerciali eque, della ridistribuzione della ricchezza, dell’impegno civile nella risoluzione dei conflitti, della generosità nel diritto d’asilo. Invece di spendere denaro inutile per garantirsi il lusso di un esercito sproporzionato, la Svizzera farebbe meglio a destinare più soldi, molti più soldi, alla cooperazione. I carnefici sono già fin troppo numerosi.

Pubblicato il 

01.06.01

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