«Venerdì son passato a Losone, nel cantiere dove nel tardo pomeriggio del giorno prima era morto l'operaio. Il cartello dell’impresa era stato rimosso e i sigilli della polizia non c’erano più. Niente ricordava la tragedia. Neanche un fiore… Alla finestra della casa a fianco, una donna stava cucinando, forse preparando il pranzo per lei o i suoi cari. Sull’altro lato, una coppia di svizzero-tedeschi appena arrivati, presumo in vacanza, stava scaricando i bagagli. La freddezza della scena mi ha impressionato. Scioccato è la parola giusta. Non ho potuto fare a meno di pensare al dramma dei parenti, dei conoscenti, quando avranno ricevuto la notizia…». Scene di vita quotidiana si scontrano col pensiero del dolore dei familiari di una vita improvvisamente scomparsa.
Paolo Casellini, sindacalista di Unia, descrive così la scena e le sensazioni provate nel luogo dove un uomo aveva perso la vita il giorno precedente. Sul finire della giornata lavorativa di quel maledetto giovedì di fine luglio, R. K. è caduto nel vuoto per quattro metri dal tetto su cui stava posando dei pannelli fotovoltaici, riportando ferite letali. Ad aspettarlo a casa, in una frazione del comune di Verbania, la moglie e due figli. Nella foto scattata dal sindacalista il giorno dopo, s’intravede un parapetto posto su un solo lato del tetto. Sarà l’inchiesta della magistratura a stabilire cause e responsabilità del fatale infortunio sul posto di lavoro. Altrettanta chiarezza la dovrà fare la magistratura nel secondo infortunio mortale sul posto di lavoro, accaduto a poche ore e a pochi chilometri di distanza. Un giovane selvicoltore di ventiquattro anni ha perso la vita la mattina del giorno dopo, cadendo per una quarantina di metri mentre stava lavorando in un bosco sopra Orsino, a Giornico. «A nome del sindacato, esprimo la piena solidarietà e vicinanza ai parenti, agli amici e ai colleghi delle due vittime sul lavoro» precisa in prima battuta Giangiorgio Gargantini, segretario regionale di Unia Ticino e Moesa. «Quando le persone perdono la vita mentre si guadagnano da vivere per loro e i propri cari, si prova tristezza e rabbia. Ad inquietare, è anche la frequenza di questi incidenti. Lo scorso mercoledì, un giovane apprendista muratore è morto in Vallese dopo esser stato colpito da un pezzo di gru “volante”. Solo tre settimane fa, tre operai sono morti nel crollo di un ponteggio nel Canton Vaud. Il mondo del lavoro elvetico, nel suo insieme, deve interrogarsi sul ripetersi di questi drammi. Non possono essere liquidati come fatalità» denuncia il sindacalista. La sicurezza sta venendo meno?, gli chiediamo. «Le statistiche ufficiali indicano un calo degli infortuni generali in ambito lavorativo. Per contro, si registra invece un aumento degli infortuni letali. Un dato gravissimo e inaccettabile. Per il sindacato è evidente che una parte di questi decessi è conseguenza diretta delle pressioni imposte al lavoro. Per pressioni intendiamo quelle sui tempi di consegna, al dover lavorare sempre più in fretta e sempre più a lungo. Le conseguenze portano a non lavorare con la sicurezza necessaria». Far chiarezza sui motivi e le responsabilità, è un compito della magistratura. «Regolarmente, le inchieste su incidenti mortali si concludono indicando le vittime o i loro colleghi quali colpevoli. La fretta che porta a trascurare la sicurezza, pare sempre una libera scelta dell’operaio o dei colleghi, mai frutto di una pressione esterna. Le eventuali pressioni di azienda o committenti, non sono mai valutate nell’inchieste. Se all’estero è legalmente possibile indagare le eventuali responsabilità dei committenti o delle aziende, l’ordinamento giuridico elvetico sembra escluderlo» annota Gargantini. Alla fretta, in questo periodo si è aggiunto il fattore gran caldo. Come siamo messi su questo fronte? «Nelle ultime tre settimane, ossia da quando è arrivato il caldo estremo, abbiamo avuto sei morti al lavoro in Svizzera. Non può essere casuale. Il nesso tra canicola e incidenti gravi sui posti di lavoro è evidente. Con l’arrivo delle alte temperature, le autorità invitano la popolazione a evitare sforzi all’esterno. È evidente che lavorare all’esterno aumenta i rischi per la salute e indebolisce la sicurezza. Soltanto in pochi contratti collettivi esistono delle limitazioni all’attività in periodo di canicola. Ma nella stragrande maggioranza dei rami professionali non vi è nulla. Sarebbe dunque necessaria una legislazione vincolante, che non si limiti a dare dei consigli o indicazioni, ma protegga concretamente la salute e la sicurezza delle persone, lavoratori compresi». Le campagne contro gli infortuni invitano i lavoratori ad astenersi dal lavorare in assenza di condizioni di sicurezza. «È un principio condiviso dal sindacato. Il problema è che i lavoratori rischiano di perdere il lavoro se lo fanno, per cui queste campagne risultano unicamente teoriche, e quindi inefficaci. Attualmente, non esiste una protezione legale a tutela del lavoratore che si rifiuta di lavorare senza sicurezza. La legislazione è troppo debole. Per questo l’USS ha deciso di lanciare un’iniziativa per una vera protezione contro il licenziamento». Tema del futuro, si spera prossimo. Nel presente, a dominare è la tristezza del ripetersi delle drammatiche morti al lavoro. |