Morti a centinaia in Svizzera

«Ah la Svizzera! La Svizzera ci sta occupando molto». Seduto dietro la scrivania del suo ufficio al quinto piano del Palazzo di giustizia di Torino, il sostituto procuratore Raffaele Guariniello ci accoglie con queste parole, che ci portano subito sull'argomento motivo della nostra visita: gli sviluppi della seconda fase dell'inchiesta Eternit, che toccherà molto da vicino anche il nostro paese, visto che riguarda la morte per malattie da amianto di cittadini italiani che hanno lavorato negli stabilimenti svizzeri di Niederurnen (Glarona) e Payerne (Vaud) e che gli indagati sono i fratelli Stephan e Thomas Schmidheiny in quanto ex massimi dirigenti di Eternit Svizzera.

Gravissima l'ipotesi di reato: omicidio. «Vedremo se doloso o intenzionale», precisa Guariniello, che un po' polemicamente aggiunge: «Per fortuna in Italia l'omicidio, a differenza che in Svizzera, non si consuma nella data in cui viene tenuta la condotta ma in quella in cui avviene la morte della vittima. Il che è anche sacrosanto, altrimenti i reati si prescrivono prima che il lavoratore muoia visto che la latenza di una malattia come il mesotelioma può arrivare anche a 40 anni. La legge italiana è più giusta. Certamente, è singolare il fatto che il processo a causa della prescrizione non venga celebrato in Svizzera e tocchi a noi indagare su fatti avvenuti fuori da territorio italiano».
Indagini «estremamente faticose» e che sfoceranno in un processo "Eternit ter", successivo all'imminente Eternit bis, che a sua volta prenderà in considerazione i casi di centinaia di persone decedute per esposizione all'amianto e che per varie ragioni non sono rientrate nel processo conclusosi lo sorso 13 febbraio con la condanna di Stephan Schmidheiny e del barone belga Jean Louis De Cartier a 16 anni per disastro ambientale doloso permanente e omissione delle misure anti-infortunistiche sui luoghi di lavoro (reati commessi in qualità di massimi dirigenti della multinazionale svizzero-belga con il potere decisionale in materia di sicurezza nelle fabbriche del gruppo). «Questa inchiesta è a buon punto, anche perché si fonda su casi incontrovertibili e dei quali disponiamo di tutta la documentazione medica», assicura Guariniello senza però voler fornire un termine entro il quale prevede di formulare la richiesta di rinvio a giudizio. Per omicidio: «Un'ipotesi di reato presa in considerazione sin dall'avvio dell'inchiesta Eternit. Ma ad un certo punto, vista la difficoltà a raccogliere tutte le informazioni necessarie per contestare specifici casi di decesso (periodo di esposizione, storia lavorativa e abitativa, patologie sviluppate, causa della morte' eccetera), abbiamo deciso di andare prima a processo per i reati collettivi. Ora suona la campana dell'omicidio».
Ancora più difficile è indagare sui casi di ex lavoratori Eternit in Svizzera che sono rientrati in Italia, che qui sono morti e in virtù di questo la magistratura italiana ha la competenza per agire e dunque per compiere delle indagini sulle condizioni di lavoro negli stabilimenti elvetici. Un fatto di grande portata, visto che in Svizzera tutti gli eventuali reati commessi dai responsabili dell'Eternit sono prescritti e dunque non si indaga. E non si è mai indagato.
Ma quanto stanno scoprendo Guariniello e il suo pool di magistrati conferma che anche in Svizzera Eternit è stata una fabbrica della morte: «L'indagine – spiega Guariniello – è partita da pochi casi. Sembrava una cosa abbastanza semplice, ma scavando scavando, cioè compiendo un'indagine epidemiologica volta a individuare le cause di morte di quegli italiani che hanno lavorato negli stabilimenti di Niederurnen e Payerne (dati che ero faticosamente riuscito ad avere attraverso le rogatorie) siamo arrivati a contare circa 200 morti per malattie asbesto-correlate. Questa ha complicato di molto l'indagine, perché ci tocca ricostruire la storia di queste persone attraverso centinaia di testimonianze e dichiarazioni».
Ha sin qui avuto l'impressione che le condizioni di lavoro negli stabilimenti svizzeri fossero simili a quelle che c'erano in Italia e che sono emerse nel processo?
È quello che stiamo cercando di verificare. Attraverso le rogatorie in Svizzera io ho richiesto molti elementi utili a chiarire questo aspetto ma purtroppo non ho ottenuto molto. Per questa ragione stiamo ora raccogliendo informazioni presso gli ex lavoratori  e i loro parenti e attraverso i loro racconti cercheremo di capire. Certo, attualmente l'impressione è che in Svizzera la situazione non era molto migliore.
Può confermare che tra i casi che sta esaminando c'è anche quello di una cittadina che viveva a Niederurnen e che non ha mai lavorato all'Eternit?
Prima di esprimermi necessito di elementi certi. L'inchiesta è in pieno svolgimento.
Oltre a Stephan, anche Thomas Schmidheiny è dunque indagato?
Sí, anche lui è indagato per il breve periodo in cui è stato alla testa di Eternit Svizzera. Poi, quando avremo tutti i casi potremo verificare le esatte responsabilità dell'uno e dell'altro.

Le colpe della comunità scientifica
Per Guariniello ci sarebbe molto da imparare da quanto emerso al processo di Torino. Eppure...

Procuratore Guariniello, il fatto che Stephan Schmidheiny sia stato invitato ad una conferenza mondiale dell'Onu sullo sviluppo sostenibile, vuol dire che la sentenza Eternit non è stata ben compresa?
L'importanza di questa sentenza prescinde da eventi contingenti come può essere questa partecipazione alla Conferenza di Rio. Poi ognuno si assume le proprie responsabilità. A me importa la valenza di questo processo, che potrà contribuire a fare prevenzione, non solo in Italia ma anche e soprattutto in quei paesi in cui l'amianto non è ancora vietato. Piuttosto, a me interessa rivolgere un appello all'Organizzazione mondiale della sanità all'Organizzazione internazionale del lavoro e alla stessa Onu, che dovrebbero porsi il problema del fatto che l'amianto viene utilizzato ancora in molti paesi, come Cina, India, Brasile. Ci sarebbe per esempio la  necessità di monitorare in queste realtà quante sono effettivamente le persone che stanno morendo per una patologia asbesto correlata. La comunità internazionale deve porsi questo problema. L'Onu dovrebbe poi farsi promotrice di azioni di prevenzione in questi paesi. Non è ammissibile che l'uomo a seconda del luogo in cui nasce sia trattato in maniera così diversa. La sentenza, al di là del caso specifico, ha il merito di mostrare come quello dell'amianto sia un problema globale. Quando mi chiedono dove vorrei concludere la mia carriera di magistrato, rispondo sempre che vorrei andare in India o in Cina, dove c'è una situazione ancora tutta da chiarire. Come può la comunità internazionale ignorare un dramma del genere? La cosa mi allarma, mi inquieta.
Anche alla luce di quanto emerso nel processo qui a Torino, si può dunque affermare che, al di là delle responsabilità dei due imputati, in questa vicenda ci sono state e ci sono molti complici?
Il processo ha sicuramente dimostrato che anche le istituzioni pubbliche e gli organi di vigilanza, almeno per quanto riguardava gli stabilimenti italiani, non hanno fatto tutto quello che dovevano fare. E la stessa comunità scientifica non è stata sempre all'altezza della sua missione: ci sono stati scienziati che hanno sostenuto una linea di difesa dell'amianto che non aveva nessun fondamento. Anche da questo punto di vista la storia dell'amianto venuta fuori dal processo è una storia che deve essere di insegnamento sia per le istituzioni pubbliche sia per la comunità scientifica, che hanno dei ben precisi obblighi. Quando uno scienziato non pubblica dei dati che possiede, come avvenuto  sull'amianto, è inquietante. Anche in rapporto a tutti i rischi odierni su cui ci sono grandi controversie come quelli legati ai campi elettromagnetici, l'uso dei cellulari eccetera e che vedono una comunità scientifica molto divisa. Memore di quello che è capitato, vien da chiedersi se la comunità scientifica sia affidabile in tutte le sue componenti. Quella dell'Eternit è davvero una storia paradigmatica della stupidità umana innanzitutto, perché l'uomo che fa la guerra a sé stesso è incredibile.
Quando una persona viene condannata a una pena privativa della libertà il cittadino comune si aspetta che un giorno questa finisca in prigione. In questo caso è opinione comune che i due condannati al processo di Torino (de Cartier addirittura novantenne) non ci finiranno mai. Lei, pur non amando le manette, ritiene che invece che almeno Schmidheiny debba scontare la pena?
Quando una sentenza diventa definitiva, questa va eseguita. Sicuramente.
 

Pubblicato il

22.06.2012 01:30
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